Nel 1988 prendeva il via a Fiesole il Progetto Mozart Da Ponte, un ambizioso e complesso percorso triennale attraverso il quale la Scuola riuscì a realizzare un allestimento interamente fiesolano della Trilogia mozartiana. Responsabile del progetto fu Claudio Desderi, che mise a disposizione della Scuola il suo magistero didattico e l’ampia e prestigiosa esperienza teatrale, formando una nutrita “squadra” di giovani talenti vocali.
A poche settimane dalla scomparsa di Desderi abbiamo incontrato uno dei più talentuosi allievi di quegli anni, il baritono Umberto Chiummo, che ha mantenuto le promesse ed è oggi impegnato in un’intensa e prestigiosa attività internazionale. Con grande gioia la Scuola lo accoglie quest’anno tra i docenti del Dipartimento di Canto.
Il tuo nome parla del sud…da dove vieni? E come hai incontrato la musica?
Sono pugliese, e vengo da Barletta. La musica era in casa, perché la mamma, oltre che laureata in lettere, era anche diplomata in pianoforte. Così, ad un certo punto, anche io ho cominciato a studiare il pianoforte, anche se troppo tardi per pensare di farne un’attività professionale.
Intanto avevo iniziato a cantare nelle corali cittadine e mi piaceva davvero molto, così cominciai a pensare che il canto potesse essere il mio modo di fare musica; la scoperta dell’opera è stata invece più tardiva.
Qual è stato il tuo percorso?
Ho frequentato il liceo classico, e dopo la maturità mi sono iscritto sia a Giurisprudenza sia al Conservatorio di Bari. Non ero certo di cosa fare, la normativa permetteva maggiore flessibilità, e c’era anche più comprensione da parte dei docenti, che ti davano una mano nell’organizzare una doppia attività.
Nei primi tre anni al Conservatorio di Bari però le cose non andarono come avrei voluto, e mi trovai a cambiare per quattro volte insegnante: alla fine ero molto confuso.
Per fortuna un’amica mi consigliò di trasferirmi al Conservatorio di Pescara, dove aveva trovato in Maria Vittoria Romano una docente brava ed affidabile, che ebbe tra i suoi allievi anche Monica Bacelli e un giovanissimo Ildebrando D’Arcangelo. E così iniziai un lavoro che finalmente cominciava a fornirmi gli strumenti giusti per andare avanti.
Una vera svolta…
Molto più di quanto mi aspettassi, in realtà! Perché dopo soli otto mesi di lezioni, la mia insegnante mi suggerì di iscrivermi al Concorso “Adriano Belli” del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, per fare un’esperienza di confronto e di crescita. Era il 1986, e… vinsi il concorso!
Una grande soddisfazione, ma anche un grosso rischio…
Infatti. Non avevo ancora completato gli studi, né conseguito il diploma. Ma avevo una grande volontà di affermazione, un grande entusiasmo ed anche una piccola esperienza in teatro con il coro perché, avendo perso molto presto mio padre, fin da ragazzino avevo cercato di guadagnare qualcosa. La vittoria di Spoleto dava diritto a seguire corsi di recitazione e canto e debuttare in ruoli operistici nei due anni successivi. Fu quello che feci, debuttando subito, con la regia di Gigi Proietti, nel ruolo del Conte in Nozze di Figaro, e partecipando l’anno dopo all’allestimento de Il mercato di Malmantile, un’opera buffa di Cimarosa.
Alla prima esperienza da solista, con Proietti!!!
Fui davvero fortunato ad incontrare un gigante del teatro come Proietti: lavorare con lui in quei giorni di preparazione prima del debutto mi permise una immersione totale nella scena; ricordo -e sorrido pensando a quanto dovrò esser sembrato inesperto- le sollecitazioni all’attenzione al testo, all’inflessione, alla qualità delle camminate… il tutto corroborato dall’esempio, che quando ti viene da un maestro riconosciuto ti permette di assorbirne completamente il valore.
Intanto continuavi a studiare con Maria Vittoria Romano?
Il lavoro con lei era molto intenso e utile, perché era una docente molto puntigliosa, che non aveva calcato le scene operistiche a causa della poliomielite, ma aveva studiato a fondo con Jolanda Magnoni (insegnante anche della giovane Mariella Devia), si era perfezionata in liederistica con Eric Werba al Mozarteum di Salisburgo ed era assai attenta sia all’aspetto musicale sia all’espressività da conferire al testo.
Purtroppo, quando ancora non avevo terminato i due anni di stage spoletini, la mia insegnante ebbe gravi problemi di salute, e così una volta conseguito il diploma non poté più seguirmi.
Così ti sei trovato nuovamente alla ricerca di un insegnante…
Maria Vittoria Romano conosceva Claudio Desderi, e fu lei ad informarmi che stavano per iniziare i suoi corsi mozartiani alla Scuola di Musica di Fiesole.
Ed eccoti arrivare a Fiesole…conoscevi già la Scuola?
Ero venuto una volta, per seguire un corso di Ettore Campogalliani, nel 1985.
Ho cominciato a frequentare la Scuola nel 1988, l’anno del diploma, e Claudio Desderi mi ha scelto per partecipare alla prima tappa del Progetto Mozart Da Ponte, l’allestimento di Così fan tutte.
Ancora una volta un’occasione da cogliere al volo…
Proprio così. Peccato che gli obblighi di leva mi costringessero a rinunciare, e così invece che cantare ho dovuto… prestare il servizio militare.
Ufficiale di complemento nel Corpo degli Autieri a Milano, ovviamente molto dispiaciuto di non poter cantare, ho avuto però la fortuna di assistere alle prove del celebre Don Giovanni di Strehler diretto da Muti, in cui Claudio era Leporello. Una grandissima lezione di musica e di teatro!
Una volta assolti i doveri di cittadino sei tornato a Fiesole?
Non ho potuto fare Così fan tutte, ma Claudio mi permise di rientrare nel progetto già con i ruoli di Bartolo e Figaro nelle repliche di Nozze di Figaro e con Don Giovanni e Leporello nella successiva produzione di Don Giovanni. Fu comunque una grande esperienza.
Come era organizzato il corso del M° Desderi?
Il corso si componeva di diversi stage, il cui valore era la messa in moto di una grande macchina organizzativa, creata e sostenuta dalla Scuola. Questa forza ha permesso a Claudio di formare un gruppo, e lavorare intensamente a tutte le fasi di preparazione di un’opera, plasmando la squadra, che sprigionava la gioia e l’energia di essere un tessuto unico. L’idea di un progetto globale rifletteva la personalità di Claudio, per il quale tutto era unito: il canto, la scena, la fisicità nella gestualità… tutto insieme.
Questo gruppo ha portato in scena la Trilogia mozartiana; non ho vissuto direttamente la prima del Così fan tutte, ma so che tutti insieme, dall’orchestra al coro ai solisti -compreso il personale dell’allora Ente Teatro Romano che curava la produzione, con Grazia Martelli e Laura Iacopetti in prima linea- erano coinvolti ed elettrizzati dal debutto, come protagonisti.
Pensa che abbiamo creato perfino un gruppo whatsapp, chiamato Progetto Mozart-Da Ponte, allo scopo di festeggiare tutti insieme il trentennale dell’opera in questo settembre; dopo quello che è successo sarà un modo per ricordare Claudio, con tutto il nostro affetto e la massima gratitudine.
Chi erano i tuoi compagni di studi a Fiesole, in quegli anni?
Grazie al passaparola e alla possibilità di debuttare, alla Scuola venivano davvero in molti; tra i tanti che hanno fatto carriera, oltre a me, ricordo Patrizia Ciofi, Paolo Rumetz, George Mosley, Costanza Nocentini, Roberto Scaltriti, Marina Fratarcangeli. Mi scuso con chi non nomino, ma siamo stati davvero tanti…
Sempre a Scuola, dal 1993 al 1996, Claudio tenne un workshop sulla vocalità di Monteverdi, culminato nella produzione de L’incoronazione di Poppea, L’Orfeo e Il ritorno di Ulisse in patria. Altra trilogia e nuovo gruppo di cantanti forgiato dal Maestro, che non ha mai smesso di sfornare validi professionisti fino all’ultimo, come attesta la presenza nei corsi di questi anni del baritono Christian Federici, fresco vincitore del Concorso di Treviso e, a mio avviso, cantante dall’avvenire luminoso.
In cosa consisteva il nucleo dell’insegnamento del M° Desderi?
Così come credo sia stato anche ultimamente, e sempre nelle sue masterclass, Claudio ha cercato, dietro la facciata esteriore della musica e dietro lo scudo che ognuno di noi ha intorno, di entrare in contatto con le ragioni più intime della musica e di ogni allievo, e di metterle in relazione. È stato questo il motivo per cui molti di noi, quelli più coinvolti, si sono legati a lui come ad una figura paterna.
Claudio era un cantante attore, il cui gesto era assolutamente organico al significante rappresentato dal suono e dalla parola… così la prima parte del nostro lavoro è stata caratterizzata dalla ricerca del rispetto di tutto ciò che è scritto, sia palese che sottinteso.
Non è mai stato eccessivamente democratico, pur avendo un’apertura all’ascolto, e aveva ragione: se il maestro è una guida ti ascolta, e si aiuta ascoltandoti, ma alla fine deve prendersi la responsabilità di decidere, e lui lo faceva.
Negli anni successivi ai corsi fiesolani sei entrato a pieno titolo nel circuito operistico internazionale, calcando le scene dei più importanti teatri… quali sono state le esperienze più significative?
Certamente il debutto in Scala, perché il ricordo dell’incontro con il M° Muti è per tutti indelebile, ma anche quello americano alla Lyric Opera di Chicago o l’incontro con un fine musicista come Bruno Campanella.
Altrettanti bei ricordi sono legati al Roméo et Juliette a Parigi con Michel Plasson e all’assidua frequentazione della Bayerische Staatsoper di Monaco, dove per una dozzina d’anni ho lavorato con maestri del calibro di Zubin Mehta, a fianco di giganti come Editha Gruberova, in Lucia di Lammermoor o ne Il barbiere di Siviglia.
Dall’esperienza vissuta passando ripetutamente per Glyndebourne ho goduto di relazioni di lavoro che, portandomi più nell’ambito della musica barocca, sono state di assoluto rilievo: William Christie, con cui ricordo uno stellare Giulio Cesare alla Salle Pleyel a Parigi; il sodalizio col direttore Ivor Bolton e con il regista David Alden, capace di creare delle produzioni esaltanti e visionarie.
Proprio in merito a questo aspetto del teatro musicale, posso affermare che ciò che spesso direttori e registi mi riconoscono è la forza della recitazione del testo e l’attenzione all’aspetto musicale, che curo anche a scapito del voler “dimostrare” qualcosa: non mi assilla l’attenzione spasmodica al bel suono, ma alla sua forza espressiva, e far musica insieme è quello che mi piace.
Oggi sei anche un insegnante: hai portato nella tua attività di docente qualcosa di Claudio Desderi?
Ho portato il metodo, che in gran parte applico tuttora. In quello che faccio e che dico lui c’è: nello stimolo dello studente attraverso un rapporto di rispetto e amichevole/affettuosa attenzione e, in ambito più strettamente musicale, nell’attenzione alle dinamiche, al contesto sonoro e su tutto, in certo repertorio, nella cura per il recitativo, secco o accompagnato che sia.
La lingua dell’opera non è quella corrente, e bisogna renderla pienamente comprensibile all’interprete. Nei libretti sei-settecenteschi ci sono continui riferimenti al mito antico, e anche nell’opera dell’800 ci sono tante cose da spiegare. La lezione ha una parte letteraria, e quando il compositore ha lavorato con accuratezza sul senso del testo anche la semplice declamazione può aiutare a capire dove poggiare la voce per dare senso. Questo è molto impegnativo, in particolare per quegli allievi, specie stranieri, che hanno difficoltà a trovare il senso di continuità della frase.
Sono altresì convinto (a differenza di Claudio, che lo sconsigliava) che sia utile fare esempi, anche se talvolta è molto faticoso. Nel tentativo di spiegarsi compiutamente a volte può essere necessario anche fare l’esempio sbagliato: tu hai fatto così, mentre dovevi fare in quest’altro modo…
Da allievo a docente… Dove hai insegnato?
Ho insegnato nei conservatori di Campobasso, Novara, Vicenza e attualmente sono a Rovigo.
L’anno scorso ho fatto una pausa per partecipare ad una produzione a Madrid di Rodelinda a cui tenevo molto, soprattutto per il rapporto di lunga collaborazione che mi lega al direttore d’orchestra Ivor Bolton, da cui era arrivata la richiesta di avermi in Spagna per due mesi.
Riguardo alle masterclass ho iniziato anche questa attività grazie a Claudio, che doveva tenerne una al Britten-Pears Young Artists Programme ad Aldeburgh, in Inghilterra, e non stava troppo bene, così mi propose di andare al suo posto. Era il 2010 e sono partito, orgoglioso che il mio maestro avesse pensato potessi essere proprio io a sostituirlo. Ero anche abbastanza preoccupato: senza avere avuto molto tempo per prepararmi, mi sarei trovato ad insegnare a ragazzi che venivano da tutto il mondo… Fu una prova importante, da cui ho imparato molto.
Sta per iniziare il tuo percorso di docente qui alla Scuola…
Sono molto contento di avere ricevuto, qualche mese fa, l’offerta di una classe di canto a Fiesole, per la quale si prevedeva una supervisione di Claudio, come parte finale di un percorso coerente. Dovremo purtroppo fare a meno della sua immensa esperienza…
Però conosco bene molti dei colleghi del Dipartimento di canto, e sono certo che potremo collaborare fruttuosamente.
Quali sono i punti su cui è necessario insistere maggiormente?
Ci sono tante cose importanti, e ovviamente tutto dipende dal livello di partenza e dal percorso che si vuole intraprendere. Ritengo che dal confronto con tutti i colleghi scaturiranno buone proposte, anche per un incremento delle attività della Scuola. Mi sembra comunque che non si possa prescindere, qui a Fiesole, da quello che è il tratto distintivo della Scuola di Canto: una preparazione globale e non settoriale di ogni singolo allievo, portando avanti idealmente il lavoro del M° Desderi.
Molti giovani cantanti stranieri vengono a studiare in Italia…
Capisco perfettamente la loro scelta e sono anche consapevole che la loro presenza abbia un positivo effetto di incremento delle classi di canto nelle nostre scuole, però è importante far capire loro che devono cercare “dentro” la musica, e non usare i mezzi tecnici di cui li dotiamo per battere un record sportivo. Oggi è di moda l’atletismo, ma la potenza è totalmente inutile senza l’espressione: la musica è espressione, una pausa può essere molto più importante delle cinque note successive, o dell’acuto che riesci a raggiungere. Questo vale per l’opera, e ovviamente anche per la musica da camera, ancora più delicata e bisognosa di un lavoro accurato di cesello.
L’atteggiamento di cui parli però non è solo degli studenti…
Infatti. In quest’epoca veloce, anche i tempi di preparazione nei teatri più importanti sono ridotti ai minimi termini, e l’accuratezza spesso è un po’ sacrificata. Talvolta alcuni insegnanti mirano a creare il fenomeno, anche perché viviamo l’epoca dei talent e spesso il mercato determina modalità di fruizione e conseguentemente scelte di offerta.
Bisogna continuare a spingere nella direzione della formazione e valorizzazione del cantante-musicista, professionista eclettico perché con una preparazione a tutto tondo.
Questa nostra chiacchierata è un omaggio affettuoso al M° Desderi, che alla Scuola ha profuso per oltre trent’anni –e fino agli ultimi giorni della sua vita– intense ed efficaci energie didattiche ed organizzative. Cosa vorresti aggiungere al ritratto tracciato fin qui?
Vorrei ricordare Claudio, oltre che come un grande musicista, anche come un uomo esuberante, pieno di vita e di desiderio di stare con i giovani: durante i corsi andava a giocare a tennis e partecipava alle partite di calcio, prendeva il violino e si metteva a suonare, sempre con lo stesso entusiasmo e spirito. Una personalità vulcanica e aperta, con la gioia di vivere e di condividere con gli altri le sue passioni.
Uno dei compagni fiesolani, Roberto Scaltriti, ha condiviso col gruppo whatsapp Progetto Mozart-Da Ponte l’audio di un messaggio, lasciato da Claudio nella sua segreteria in quegli anni. Lui era a Glyndebourne e Roberto qui a Firenze, dove stava provando in vista di un debutto: non riuscendo a parlare direttamente con lui, Claudio registra il suo messaggio imitando perfettamente la voce del telecronista sportivo Enrico Ameri, e chiede notizie del suo atleta Roberto, che non gli ha ancora fatto sapere come stanno andando le cose a Firenze, in un esilarante crescendo di toni (ascoltiamo insieme il messaggio, ed è impossibile non scoppiare a ridere n.d.r.), fino alla colorita esortazione finale a farsi vivo quanto prima.
Questo era Claudio Desderi, che non ringrazieremo mai abbastanza per averci trasmesso, mentre ci forniva gli “attrezzi del mestiere”, anche il suo amore per la musica e per la vita.