Il 29 luglio scorso si è spento all’età di 93 anni Giuseppe Prencipe, indimenticabile violino di spalla di compagini di grande spessore come la gloriosa Orchestra Scarlatti della Rai di Napoli e l’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia. Il ritratto che ne offriamo parte da un punto di vista molto intimo e particolare: a parlarci di lui è il violinista Andrea Cappelletti, docente da molti anni presso la Scuola e legato al Maestro da un antico affetto familiare, inscindibile da un altrettanto “storico” legame didattico.
Il tuo rapporto con Giuseppe Prencipe è stato particolarmente ravvicinato… vuoi raccontarci?
Si è trattato di un rapporto davvero speciale: Giuseppe Prencipe non è stato soltanto il mio insegnante, ma direi il protagonista assoluto della mia vita, fino ai 20 anni. Era anche il mio padrino di battesimo, ed è stato in ogni senso vicino alla mia crescita di bambino e di musicista.
I primi ricordi sono lontanissimi nel tempo, e perciò non del tutto nitidi: vivevamo a Napoli, dove ci eravamo trasferiti dalla Svizzera –mio paese natale- per il lavoro di mio padre, e andavamo ogni giovedì ai concerti dell’Orchestra Scarlatti. I miei genitori erano amanti assoluti della musica, e la famiglia Prencipe frequentava assiduamente la nostra casa. Oltre al Maestro c’erano la moglie Anna e le due figlie.
Fu quindi naturale per te avvicinarti al violino…
Ne ricevetti uno in regalo proprio da Prencipe, intorno ai cinque anni. I miei due fratelli suonavano il pianoforte ed il flauto, ed io espressi il desiderio di avere un violino. Per un anno lo usai per giocare, ma al compimento dei sei anni Giuseppe mi domandò: “Ce l’hai ancora, il violino…?”, e così cominciammo le nostre lezioni.
Da quel momento ebbi una lezione con lui ogni domenica, nel pomeriggio. Sia che fossimo a casa nostra, sia che ci avessero invitato i Prencipe da loro, dopo pranzo si svolgeva un identico rito: arrivati al caffè, il Maestro iniziava a rivolgermi occhiate eloquenti, finché mi invitava ad andare a prendere lo strumento e iniziare a scaldarmi un po’, in attesa del suo arrivo nell’altra stanza per la lezione.
Quindi la separazione fra l’aspetto conviviale e quello didattico era netta…
Proprio così: Prencipe aveva un carattere socievole ed era un conversatore brillante; era attento a tutte le sfumature della vita, dalla politica alla cultura, ed aveva un senso dell’umorismo molto particolare, che gli faceva dire cose spiazzanti. Ma la nostra lezione era serissima.
Quanto tempo durava?
Normalmente un’ora, ma magari si interrompeva, se le cose non andavano bene. In quel caso poteva succedere che mi mettessi a piangere… allora ci fermavamo. Sono ancora visibili le macchie causate dalle mie lacrime sulla vernice del violino piccolo. Venivo mandato a studiare in un’altra stanza, per mettere a posto le cose che non erano in ordine, e poi la lezione poteva riprendere per concludersi a sera.
Questa lezione non era comunque l’unico appuntamento settimanale: avevo altri due incontri con un assistente, col quale lavoravo sulle scale e sulla tecnica.
Prencipe era un insegnante particolarmente severo, direi…
Definirlo solo severo è un eufemismo, perché in realtà era assolutamente esigente, in tutto.
Prima di tutto con se stesso: nelle domeniche in cui eravamo noi ad andare a casa Prencipe, lo trovavamo sempre a studiare, e non ho ricordo di aver saltato una delle lezioni domenicali. Si facevano anche durante le vacanze, che per molti anni le nostre famiglie hanno trascorso insieme, sia in montagna sia al mare. Ho ricordi molto intensi della casa dei Prencipe a Gaeta, dove Giuseppe aveva comprato una vecchia barca da pescatori, con cui facevamo bellissime escursioni.
Lezioni anche durante le vacanze…??
Proprio così, e fra l’altro le mie vacanze erano ridotte all’osso, perché mi era permesso di lasciare il violino solo per due settimane; invidiavo molto i miei fratelli, che si godevano le lunghe estati tra la fine della scuola e la ripresa in autunno.
Giuseppe Prencipe è stato una figura genitoriale onnipresente, nella prima parte della mia vita, addirittura più di mio padre, che era spesso lontano da casa per motivi di lavoro. Inoltre, essendo un punto di riferimento assoluto per i miei, veniva spesso evocato da loro con frasi del tipo: “Chissà cosa ne pensa Peppino…”, in relazione ad ogni aspetto della mia crescita musicale, e non solo.
Un padrino decisamente ingombrante…
Infatti devo ammettere che nei suoi confronti ho attraversato anche fasi di estrema insofferenza, via via che crescevo. Come sempre succede, nel ricordo le cose si fanno più sfumate, e ora riesco a valutare meglio il nostro rapporto, che subì una naturale evoluzione dovuta alla mia crescita. Durante l’adolescenza ebbi più volte l’impulso di lasciar perdere il violino, e lui fu in quelle occasioni di una grande ragionevolezza. Sapevo che era in contatto con i miei, e quindi già avvertito delle mie difficoltà, ma ero sorpreso nel sentirlo dire, arrivando a lezione: “Posa il violino, oggi chiacchieriamo…”. In quelle conversazioni riusciva a tirarmi fuori di tutto, ma non l’ho mai visto arrabbiato, e non ha mai alzato la voce con me. Aveva occhi vivacissimi e brillanti, dai quali si deducevano con chiarezza i suoi pensieri, anche senza bisogno di troppe parole.
Hai mai ascoltato i racconti della sua giovinezza?
Non ho ricordi diretti, forse perché ero troppo piccolo per interessarmi alle conversazioni degli adulti, che magari avranno parlato di fatti che ho saputo più tardi: Prencipe era stato un enfant prodige e aveva suonato, undicenne, al Foro Italico alla presenza di Mussolini, che gli fece dono di un violino piccolo e volle che rappresentasse l’Italia in un concorso per giovani strumentisti che si svolse a Weimar, davanti ad Hitler. Ma non credo affatto ne andasse fiero, politicamente parlando…
Ha insegnato per molti anni al Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli… sei entrato nella sua classe?
Solo a 16 anni, per frequentare le materie complementari e concludere il corso col diploma, che ho preso a 18. Fu quella la prima e unica occasione in cui si lasciò andare: “Adesso te lo posso dire… BRAVO!!”, ma questo non significa che non avessi percepito negli anni il suo orgoglio in relazione ai miei progressi musicali.
Com’erano le lezioni con lui?
Lezioni di musica. Grazie alla presenza dell’assistente che si occupava della mia tecnica, con Prencipe lavoravamo sul grande repertorio, con molti esempi strumentali, e venivano fuori la sua cultura ed il suo gusto raffinato. Era nato nel 1925 a Manfredonia, in Puglia, aveva studiato con Mario Corti e si era diplomato a Roma con Pina Carmirelli; si era perfezionato con Arrigo Serato e poi con George Enescu all’Accademia Chigiana. Oltre al contatto con questi maestri importanti, aveva accumulato una grande esperienza con i celebri direttori delle orchestre di cui era spalla, l’Orchestra Alessandro Scarlatti della RAI di Napoli dal 1948 al 1978 e poi l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia.
Dell’Orchestra Scarlatti era stato l’anima, insieme al direttore Franco Caracciolo: negli anni ’50 era divenuta un complesso di prim’ordine, e non solo a Napoli venivano tutti i più grandi solisti e direttori, ma l’orchestra effettuava importanti tournée in tutto il mondo.
Assistere ai concerti dell’Orchestra Scarlatti è stato quindi una parte importante della tua formazione…
Ho frequentato concerti bellissimi, sempre stimolato da Prencipe a non perdere nessuna occasione di ascolto, soprattutto se si trattava di violinisti. “Ogni violinista che passa da Napoli lo devi sentire!”, mi diceva, e poi a lezione mi chiedeva cosa mi era piaciuto del concerto. Domanda molto pericolosa…
Perché?
Aveva gusti molto definiti e detestava i virtuosi, o in ogni caso chiunque approfittasse della musica per mettersi in mostra. Riteneva che la partitura contenesse tutto ciò che l’autore voleva comunicare e che l’interprete dovesse evitare ogni forma di autocompiacimento nell’esecuzione. Una posizione molto radicale, che anche durante le lezioni emergeva con chiarezza, quando stavamo a lungo su una frase, finché non la eseguivo “come era scritta”.
Il rispetto per la partitura credo gli derivasse anche dalla lunga esperienza nel ruolo di spalla, abituato com’era a presentarsi preparatissimo ai grandi direttori che si avvicendavano sul podio.
La sua attività di concertista non era solo legata alle due orchestre che hai ricordato, però…
È stato un solista molto attivo, leader di complessi come I Virtuosi di Roma e I Solisti Italiani e poi, dal 1991, anche direttore artistico dei Cameristi Italiani. Il repertorio cameristico lo ha visto protagonista di innumerevoli collaborazioni con colleghi prestigiosi, come il pianista Sergio Fiorentino e il violinista Henryk Szeryng.
Hai mai avuto occasione di suonare con lui?
Sono stato solista in un concerto di Mozart con l’Orchestra Scarlatti, mentre lui era spalla. Fu molto bello, perché sentivo che era orgoglioso di me, quindi la sua presenza mi dava coraggio e mi infondeva fiducia.
Come docente non si è risparmiato, anzi vi siete perfino ritrovati qui, alla Scuola
Proprio così: ho iniziato ad insegnare a Fiesole nel 1989, su invito di Piero Farulli; il Maestro aveva voluto che Prencipe avesse la responsabilità della preparazione della fila dei primi violini nell’Orchestra Giovanile Italiana fin dal 1982 e gli affidò anche un corso di perfezionamento in violino di spalla nel 1990. I violinisti che ebbero la fortuna di formarsi con lui lo ricordano come un punto di riferimento fondamentale.
Ricordo di averlo invitato nella mia casa, con la dolcissima moglie Anna, e di averlo trovato allora, come sempre, brillante e spumeggiante. Sembrava che gli anni non passassero, per lui.
Invece le nostre lezioni erano terminate da parecchio, dato che dopo il diploma, Prencipe mi aveva consigliato di frequentare la classe di perfezionamento di Corrado Romano a Ginevra.
Quindi c’era stato uno stacco deciso, nel vostro rapporto…
Infatti. Tornai in Svizzera, e le domeniche con la famiglia Prencipe divennero un ricordo.
Successivamente sono andato qualche volta a suonare per lui, prima di un appuntamento importante, ma si è trattato di qualcosa di molto sporadico…
Romano ti aveva aperto altri orizzonti?
Tecnicamente forse sì, ma l’apertura maggiore è stata nel lavoro con Yehudi Menuhin. Ho frequentato l’IMMA (International Menuhin Music Academy) che in quegli anni aveva base a Gstaad, dove lui abitava. Ci spostavamo per un mese a Londra, ospiti di amici suoi, poi un mese a Buenos Aires… Menuhin era animato da una sincera passione didattica, e l’accademia ospitava pochissimi allievi: eravamo solo dieci violini, tre viole, due violoncelli e un contrabbasso. Formavamo la Camerata Lysy, con la quale tenemmo molti concerti in tutto il mondo.
Dopo tanti anni di docenza, cosa pensi di portare con te dell’esperienza di allievo di Giuseppe Prencipe?
Certamente la sua personalità mi ha segnato, sotto ogni punto di vista: mi capita spesso di usare alcune sue espressioni. Anche se la musica e le diverse personalità degli allievi richiedono flessibilità, ritengo che la severità della scuola da cui provengo sia un valore da non perdere.
Gli insegnamenti di Prencipe sono parte integrante del bagaglio che trasmetto ai miei allievi, alcuni dei quali adesso sono a loro volta insegnanti qui alla Scuola: Leonardo Matucci, Boriana Nakeva, Martina Chiarugi…
E il suo rigore interpretativo?
Mi sembra un valore prezioso, ma più come un punto di partenza che di arrivo.
La libertà dell’interprete, nel cercare di esprimersi attraverso la musica, mi pare altrettanto importante. Così ad un certo punto mi sono avvicinato al jazz: l’improvvisazione e l’estemporaneità sono quanto di più lontano dal modo di pensare la musica di Prencipe, e forse proprio per questo mi hanno attratto moltissimo!
Un rimpianto?
Non essere riuscito a trovare nemmeno una foto che mi ritragga con lui, nonostante le ricerche abbiano coinvolto anche mia madre e i vecchi album di famiglia. Sembra incredibile ma, di tante giornate trascorse insieme per anni, non resta nessuna immagine, se non quelle che ho stampato, per sempre, nella mia memoria.