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A colloquio con Bruno Delepelaire

Bruno Delepelaire, giovane violoncellista francese, ha conquistato precocemente i più ambìti traguardi professionali: diciannovenne, ottiene nel 2008 il premier prix di perfezionamento all’unanimità presso il Conservatorio di Parigi, nella classe di Philippe Muller; si perfeziona a Berlino con Jens Peter Maintz e Ludwig Quandt nell’Orchestra Academy dei Berliner Philharmoniker. Vincitore di due importanti concorsi internazionali quali Karl Davidoff International Cello Competition (2012) e Markneukirchen International Instrumental Competition (2013), è primo violoncello dei Berliner Philharmoniker dal 2013.

Bruno ha iniziato quest’anno ad insegnare presso la Scuola: la sua presenza a Fiesole non è certo passata inosservata, e molti giovani strumentisti si sono iscritti al suo corso, che prevedeva tre sessioni di lavoro. Al termine dell’ultimo ciclo di lezioni gli abbiamo rivolto alcune domande.

Tutto è iniziato grazie alla nonna… c’è ancora? Ha potuto gioire con te dei grandi successi professionali che sei riuscito a conquistare?
No, purtroppo è morta 12 anni fa, quando ancora ero al liceo, e quindi non mi ha mai visto nelle vesti professionali degli anni più recenti, ma la porto sempre nel mio cuore.

Oltre allo studio con grandi docenti, hai fatto varie esperienze nelle più prestigiose orchestre giovanili europee. Quanto ha significato questo, in termini di acquisizione delle competenze necessarie per sedere al primo leggio?
Questa è una bella domanda; le esperienze nelle orchestre giovanili sono state per me veramente importanti, perché dall’incontro con tanti musicisti pieni di entusiasmo ho potuto trarre ispirazione, e scambiando conoscenze con loro ho imparato molto.
Penso infatti che non siano solo i grandi maestri a poter dare spunti ai giovani, anche se certamente sono fondamentali; credo che si possa imparare molto anche da studenti che sono al tuo stesso livello, semplicemente ascoltandoli suonare. Perciò stare in orchestra ha significato per me avere moltissime di queste occasioni di scambio… è stato veramente bello e molto, molto utile!

Fra i tanti incontri con i direttori d’orchestra, quali ricordi con più emozione?
Per quanto riguarda l’esperienza delle orchestre di formazione, abbiamo avuto un grande momento con Antonio Pappano, quando è venuto a dirigere Vita d’eroe di Richard Strauss; un’altra interessante esperienza è stata quella con Colin Davies, poco prima che morisse, e anche con Herbert Blomstedt. Ognuno aveva uno stile diverso, e da tutti abbiamo appreso molto, ma penso che per l’orchestra giovanile Pappano sia stato veramente il più efficace, il direttore con cui era più facile avere un rapporto umano, e questo ha dato i suoi frutti anche sul piano artistico.
Ovviamente, suonando nei Berliner Philharmoniker gli incontri con i direttori più celebri del mondo sono “normali”: tra le tante esperienze emozionanti mi piace ricordare il lavoro con Kirill Petrenko e Simon Rattle, ma devo dire che ogni produzione rappresenta un’occasione davvero speciale!

Come sei arrivato a Fiesole? Conoscevi già la Scuola?
Non conoscevo la Scuola, ma quando stato contattato dal Direttore Artistico Alain Meunier -che sapeva che suono con i Berliner Philharmoniker ed era interessato ad avere qualcuno con un bagaglio d’insegnamento orchestrale- sono stato molto felice di accettare!

Che tipo di itinerario formativo proponi ai violoncellisti nel tuo corso?
Quello che cerco di fare è aiutarli ad avere gli strumenti base con i quali possano sviluppare il loro modo di far musica, perché penso che si possa parlare per ore della propria concezione di ogni pezzo, o di come suonare in questo o quello stile, ma la cosa più importante è avere le basi fisiche per suonare il violoncello. Spesso ci dimentichiamo che stiamo lavorando su pezzi difficili, che richiedono la capacità di produrre un certo tipo di suono attraverso la respirazione, il peso del braccio, la capacità di rilassarsi durante l’esecuzione. Tutto il resto viene dopo, e ciascuno esprime la sua personalità attraverso la musica, ma se non ci sono basi abbastanza solide, se non sei a tuo agio col tuo corpo, non puoi suonare come vuoi.
Quindi il mio primo obiettivo di insegnante è trasmettere agli allievi questa idea, e cercare di metterli in condizione di suonare “in libertà”.

Ti sei già fatto un’idea a proposito della Scuola?
Beh, devo dire che non sono ancora pronto a rispondere: sono qui da soli 5 giorni!
L’ambiente mi ricorda molto la Schola Cantorum di Parigi: anche qui si percepisce una sensazione di intimità che rende gli studenti più coinvolti nella vita della scuola. Questo comporta che ognuno si senta parte di qualcosa di più grande, rendendo più semplice il raggiungimento di obiettivi comuni da parte degli studenti. Preferisco questo modo di apprendere, rispetto alla classe dove si insegna ad uno ad uno agli allievi e non ci sono coinvolgimento e scambio di opinioni.
Qui è bellissimo vedere allievi di tutte le età che crescono con la musica, tutti insieme. La dimensione “umana” della Scuola prescinde dall’alto numero degli allievi, e anche la bellezza dei luoghi aiuta!

Pensi di incrementare la tua presenza per i prossimi anni?
Si, sicuramente dovrei venire un po’ più spesso. Ne ho parlato col Direttore, e già dall’anno prossimo spero di poter essere più presente. Ovviamente devo tener presenti gli impegni con i Berliner e l’attività concertistica, ma qui mi sto trovando veramente bene e mi rendo conto che quando si insegna allo stesso tempo si impara tanto, perciò sono certo che si tratti di un’esperienza doppiamente interessante.

Il livello strumentale dei giovani musicisti è sempre più elevato, come si può constatare dalle severe selezioni dei concorsi internazionali. Quali sono le caratteristiche che possono rendere un violoncellista di oggi “speciale”?
Credo che ciò che rende speciale un violoncellista, o in ogni caso un musicista, si verifichi quando, ascoltandolo, si possa esser certi che non stia cercando di imitare qualcun altro, o provando a mostrare qualcosa che in realtà non lo rappresenta. La musica è stata scritta da compositori che sono molto diversi da noi e lontani nel tempo, ma penso che con loro condividiamo qualcosa che riguarda i nostri caratteri e i nostri sentimenti, quindi bisogna essere “veri” e cercare di essere “sinceri” attraverso la voce dello strumento: questa è la cosa più importante.
Chiunque può suonare anche estremamente bene il violoncello, ma se quello che fa non arriva dal suo cuore non mi sentirò toccato dalla sua performance.
È certamente importante avere una buona scuola e sapere come realizzare un’esecuzione accurata, ma tendiamo a dimenticare le basi che sono la respirazione, il ritmo e perfino il saper ballare, alle volte; se si riesce a integrare una buona preparazione tecnica con queste basi, si può raggiungere più facilmente un suono attraverso il quale esprimere i propri sentimenti, piuttosto che concentrarsi soltanto sul suonare veloce, intonato e preciso.

La tua biografia accenna alla passione per il birdwatching. L’osservazione degli uccelli richiede solitamente spazi boschivi lontano dalla città. Come riesci a conciliare questo interesse con l’intensa attività artistica, e con la vita in una metropoli come Berlino?
Molte specie di uccelli si trovano ormai anche in città, ma da sempre amo la natura e cerco appena possibile di trovare uno spazio di libertà: per qualche settimana all’anno lascio completamente il violoncello e mi dedico a lunghe escursioni a piedi, magari in montagna. Questo è molto importante per me, perché è un lato completamente diverso della mia vita, che mi serve come carburante per fare musica: se non ti fermi mai rischi di diventare arido, mentre il contatto con la natura è un’esperienza rigenerante, che pulisce sia la mente sia il corpo… il massimo!

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