L’occasione è il successo di un nuovo allievo della Scuola, Sebastian Zagame, che da Roma ha scelto di venire a Fiesole per approfondire la sua preparazione violinistica ed è stato pochi giorni fa accolto tra le file dell’European Union Youth Orchestra come riserva. Parliamo di lui – e di molte altre cose – con l’insegnante, Alina Company, che ha con la Scuola un legame di lunga durata e di grande significato artistico e didattico.
Cosa ci dici a proposito di Sebastian?
È un talento straordinario, un giovanissimo violinista (ha da poco compiuto 17 anni!) che si è già diplomato, con il massimo dei voti e la lode, al Conservatorio di S. Cecilia. Frequenta da quest’anno un corso libero con me presso la Scuola, dove ho iniziato ad insegnare nel 1989.
Sebastian ha avuto la fortuna di una buona impostazione tecnica; si è iscritto ad un mio corso estivo, ed ho subito apprezzato il modo con cui aveva preparato il programma del diploma, con il Concerto di Brahms ed i Capricci di Paganini risolti brillantemente. A livello di tecnica d’arco, di raffinatezza di fraseggio e di possibilità espressive ho trovato che ci fosse invece bisogno di un lavoro approfondito, e così abbiamo iniziato a farlo insieme, con mia grande gioia e tanto entusiasmo da parte sua, per le scoperte che fa ad ogni incontro.
Ha fatto la prima selezione per l’EUYO a Roma, ed è stato ammesso alla prova finale che si teneva a Fiesole. Le selezioni sono generalmente durissime, e non molti violinisti italiani hanno avuto la possibilità di entrare nelle file di questa importante orchestra di formazione. Sebastian ha ricevuto il calendario ed i programmi, e dovrà tenersi pronto a partecipare alle produzioni in caso di chiamata, con pochi giorni di preavviso… sarà dura!!
Un po’ di storia… Come sei approdata a Fiesole? Quando hai conosciuto Piero Farulli?
Premetto che sono cresciuta “consumando” i dischi del Quartetto Italiano, che ascoltavo continuamente, rapita dalla meraviglia del miracolo di quest’ensemble leggendario. Possedevo l’intera discografia del Quartetto ed avevo una vera e propria venerazione per le sue interpretazioni.
Accadde che, accompagnando mia madre (la celebre pianista Maria Tipo, ndr) a Milano per un concerto alla Scala, nel 1988, incontrai in treno Piero Farulli con la moglie Ninetta, e su quel rapido –che per fortuna impiegava tre ore tra Firenze e Milano!- ebbi il tempo di parlare a lungo col Maestro, e di trasmettergli tutto il mio ardore per il quartetto. Avevo 23 anni, e pensavo fosse troppo tardi per cominciare; lui mi rispose che vedeva in me una grande e speciale passione, e mi incoraggiò tantissimo, dicendomi che non era affatto tardi. Intanto mi invitò ad entrare subito nell’Orchestra Giovanile Italiana, e l’anno successivo mi offrì la cattedra di violino alla Scuola.
Sono davvero grata a Piero Farulli di esser riuscito a convogliare le mie energie, che dopo il diploma, nonostante varie attività cameristiche e didattiche, mi sembrava rischiassero di disperdersi. La capacità del Maestro di incoraggiarmi rappresenta per me non solo un grande debito di gratitudine, ma anche un insegnamento fondamentale che cerco di restituire con generosità agli allievi.
Com’è stata la tua esperienza nell’OGI?
Fondamentale, direi, grazie ai maestri che ci hanno condotto per mano con amorevolezza e rigore attraverso un lavoro di grande spessore; ricordo indimenticabili lezioni con Renato Zanettovich e Piero Farulli, nella classe di quartetto dell’OGI, ed anche la grande abnegazione di Angelo Faja nelle prove d’insieme, durante le quali si veniva utilmente… demoliti. Ero il concertino dei primi violini, ed ho imparato davvero tantissimo.
Abbiamo suonato, tra le altre cose, la Quarta di Mahler e la Prima di Brahms diretti da Piero Bellugi (un uomo generoso, musicista raffinato e appassionato), in una bella tournée in Spagna nella quale era solista Mario Brunello, che per la prima volta suonava il Concerto di Šostakovič. Anche di lui ricordo l’affettuoso incoraggiamento: mentre gli facevamo grandi complimenti per la sua interpretazione, lui replicava dicendo a noi “forza, si può fare!” e anche questa sua positività era una spinta forte, che ti faceva intravedere la possibilità di raggiungere risultati dei quali non avresti pensato di esser capace.
Come si costituì il Quartetto di Fiesole?
Nacque per la mia caparbietà: ingenuamente, mi presentai da sola al Corso di quartetto di Farulli all’Accademia Chigiana, pensando che lì si radunassero tutti i musicisti d’Italia e che senz’altro avrei trovato i compagni per formare un quartetto; invece… non trovai nessuno!
Il Maestro fu ancora una volta incoraggiante, e mentre rimanevo a Siena come uditrice mi mise in contatto con il violoncellista Luca Bellentani, il quale a sua volta portò Alberto Intrieri (secondo violino di quella prima formazione) e finalmente, al successivo corso di Farulli, in settembre a Lerici, il quartetto prese forma, con l’arrivo del violista Pietro Scalvini.
Inizialmente non avevamo un nome, e fu sempre il Maestro, due anni dopo, a dirci che avrebbe avuto gran piacere che il nostro si identificasse con la Scuola, cosa che per noi fu ovviamente un onore incommensurabile.
Come furono i primi anni di attività?
Per undici anni abbiamo suonato tutto a memoria (compresi i quartetti di Petrassi e Šostakovič!) su suggerimento di Farulli, che aveva fatto la stessa esperienza decennale col Quartetto Italiano. Un grande impegno, che comportava un lavoro d’insieme continuo e prolungato, ma i vantaggi erano innegabili: intanto una maggiore consapevolezza della partitura, perché non si può suonare a memoria senza avere una conoscenza perfetta delle parti di tutti; inoltre, eliminando la barriera del leggìo, si creava una relazione più forte tra i componenti, e succedeva qualcosa di speciale, grazie anche al contatto visivo, che permetteva un maggior controllo del vibrato, della velocità e dei punti dell’arco dei compagni…insomma, alla fine l’esecuzione era davvero viva ed equilibrata.
Per noi la scoperta della memoria avvenne, casualmente, di nuovo in treno, stavolta da Milano a Firenze, grazie alla durata del viaggio (le solite tre ore di allora…) ed alla struttura delle carrozze, che erano divise in scompartimenti chiusi. Pensammo di approfittare del viaggio per studiare un po’, ed essendo impossibile trovare spazio tra i sedili per i leggii, iniziammo a suonare il Quartetto op. 18 n. 3 di Beethoven a memoria, scoprendo sbalorditi che l’esecuzione proseguiva fino alla fine senza inciampi! Pensammo quindi che questa possibilità dovesse essere esplorata a fondo, ed iniziammo a proporre a memoria ogni esecuzione, in concerto e nei concorsi.
Vincemmo in quel periodo il Concorso Internazionale Rotary di Cremona, e fu certo una grande soddisfazione, ma il ricordo più bello di quel concorso è l’incontro con l’insegnante del gruppo bielorusso che si era classificato in ultima posizione. Invece di essere arrabbiato per l’insuccesso dei suoi allievi, questo maestro davvero speciale rimase così piacevolmente colpito dalle nostre esecuzioni a memoria, che ci invitò in Bielorussia perché facessimo sentire ai giovani musicisti di quel paese il nostro modo di fare quartetto. Fummo loro ospiti, per una settimana in cui sospesero le altre attività per stare tutti insieme, seguendo le prove ed i concerti che avevano organizzato per noi… un’esperienza umana davvero gratificante!
Il Quartetto ha avuto, oltre a Piero Farulli, altri maestri importanti…
Una grande fortuna…!! Ricordo con emozione l’incontro con Elisa Pegreffi (secondo violino del Quartetto Italiano, ndr), che è sempre stata una nostra grande sostenitrice, e sono grata a Farulli per aver gestito il nostro percorso formativo con tanta attenzione e generosità: nel momento in cui ritenne che fossimo maturi, ci mandò a lezione da Milan Škampa del Quartetto Smetana, che a Scuola teneva un corso sul repertorio slavo, poi da Norbert Brainin alla Royal Academy, ed in più riprese incontrammo gli altri componenti del Quartetto Amadeus (Orlando Festival, Schloss Elmau…). Un’esperienza importante furono anche le lezioni di Valentin Berlinsky, violoncellista del Quartetto Borodin: con lui lavorammo a Portogruaro sul repertorio russo, ricevendo le parti del Quartetto n. 8 e del Quintetto con pianoforte op. 57 di Šostakovič, che il Borodin aveva studiato con il compositore!
Sono consegne preziose che sento davvero come un lascito, adesso che sono titolare della classe di musica d’insieme per archi al Conservatorio di Firenze.
Nel 1996 vincemmo il Concorso Vittorio Gui, e avemmo grandi opportunità di collaborazione, a partire proprio da Piero Farulli, che si unì a noi per i quintetti con due viole: arrivava alle prove accigliato, ed era il terrore!
Evidentemente teso per l’impegno che stava portando avanti, sentiva la responsabilità di un progetto grandioso e innovativo come la Scuola, per la quale spendeva tutte le sue energie, producendo una dopo l’altra idee efficaci e importanti, che sicuramente erano anche fonte di tante preoccupazioni… tempo un quarto d’ora, era immerso nella musica e beato, e noi altrettanto sollevati, e felici di suonare con lui!
Anche con Andrea Nannoni, nostro maestro insieme a Farulli, abbiamo fatto parecchie cose. Un insegnante straordinario, con cui adesso ho l’onore di collaborare come collega al Conservatorio: pochi giorni fa l’ho invitato nella mia classe e ho fatto sentire ai miei allievi i consigli del mio maestro dalla sua viva voce, proprio nel repertorio che lui aveva insegnato a noi: un’esperienza importante per loro ed una conferma preziosa per il mio lavoro.
Proseguendo, ricordo l’incoraggiamento ricevuto da Andrea Lucchesini, che accettò di suonare con noi in un momento difficile di cambio (si era appena unita a noi Sandra Bacci) al Teatro Romano di Fiesole, in un concerto che nella prima parte ci vedeva insieme a Piero Farulli in un quintetto di Mozart e nella seconda parte impegnati nel Quintetto di Brahms col pianoforte. Negli anni Andrea ha suonato con noi molte volte, ed era al nostro fianco anche per il nostro ventennale, quando suonammo a Cremona con gli strumenti del Museo Stradivari. Condividemmo con lui e con Pietro De Maria anche la festa per il 70° compleanno della mia mamma, al Teatro della Pergola, grazie all’affettuosa ospitalità degli Amici della Musica; per la mamma fu bellissimo vedere sua figlia in quartetto insieme a due tra i più affermati pianisti della sua scuola.
Il 2018 è l’anno del nostro trentennale, che definirei molto faticoso: dopo ben tredici cambi sono l’unica rimasta, come membro fondatore; nel 2008 ha dovuto lasciare anche Pietro Scalvini, colonna portante del quartetto; fondamentale è stato l’arrivo di Sandra Bacci, con noi dal 1995, mentre da due anni e mezzo ci sono Simone Ferrari e Flaminia Zanelli, due acquisti veramente preziosi.
Parliamo un po’ delle tue origini? Rappresenti la terza generazione di una “doppia” famiglia di musicisti…
Da parte di madre il ceppo musicale nasce dalla grande nonna Ersilia, e sono contenta di spendere due parole per lei, che a differenza della mamma, nota in tutto il mondo, non è molto conosciuta. Mi fa piacere ricordare questa donna coraggiosa e pioniera, nata a Napoli nel 1895, che prima degli anni ‘20 si era diplomata in pianoforte ed anche in composizione. Ancora oggi si ricordano le sue esecuzioni, tra cui la prima napoletana del Concerto di Čajkovskij (!), che suonò da ragazzina, alla Sala Maddaloni.
Spinose e dolorose vicende familiari l’hanno coinvolta -lasciando tracce indelebili nella sua personalità– e le hanno impedito di avere un’attività come solista, ma in casa la nonna suonava tutte le sere fino a notte fonda, invitando amici, leggendo le riduzioni pianistiche delle opere liriche a quattro mani con la mamma, e insegnando ad una fitta schiera di allievi.
Aveva avuto a sua volta una scuola fantastica, dato che era stata allieva di Vincenzo Romaniello (a sua volta allievo di Anton Rubinstein) e di Ferruccio Busoni; io ho visto la nonna già molto anziana, ma ricordo benissimo che quando suonava era davvero una forza della natura, e le emozioni fluivano freschissime dalle sue mani.
Anche come insegnante era eccezionale, come la storia della mia mamma testimonia direttamente: la sua strada fu segnata dal giorno che la nonna, rientrando, sentì qualcuno suonare e pensò di aver dimenticato un appuntamento con un allievo… era invece la mamma che, a soli tre anni, si era arrampicata da sola davanti alla tastiera e suonava con grande entusiasmo scale e pezzi che aveva sentito insegnare.
E dal quel momento la nonna fu responsabile della formazione della tua mamma…
Esattamente… gli studi della mamma furono severi e approfonditi finché la nonna, da grande e saggia insegnante, la mandò a studiare da Alfredo Casella ed anche da Guido Agosti, dimostrando di voler condividere la responsabilità di un simile talento con maestri importanti. Per quanto riguarda la mamma, oltre al concertismo ai massimi livelli è stata un’insegnante eccelsa, e non devo certo dirlo io, visto che sono i suoi allievi a testimoniarlo in tutto il mondo.
E per quanto riguarda la famiglia paterna?
Dopo i 40 anni un problema ad una mano ha impedito a mio padre Alvaro di continuare la carriera di concertista, brillantemente intrapresa e sostenuta dalla grande stima di Andrés Segovia; da quel momento si è dedicato sempre con passione alla composizione ed all’insegnamento della chitarra, di cui è considerato un caposcuola a livello internazionale. Non più tardi di un mese fa un giovane chitarrista è venuto dall’America per fargli ascoltare Las seis cuerdas, uno tra i più importanti lavori che mio padre ha scritto, e ricevere i suoi consigli.
I miei genitori sono oggi a riposo, ma hanno l’insegnamento nel loro DNA, e continuano ad aprire la loro casa alla musica ed ai musicisti.
Quindi l’insegnamento era inevitabilmente tra i tuoi cromosomi…
Sicuramente, direi… Ho cominciato prestissimo ad insegnare, prima ancora del diploma avevo alcune ore in piccole scuole, e qualche allievo privato. Fu subito una cosa che sentivo molto naturale, ero nel mio elemento. Mi piaceva riuscire a passare dei valori che erano quelli in cui ero cresciuta: instillare l’amore per la musica, per lo studio, era una rigenerazione. Anch’io, come i miei genitori, sono rimasta chiusa più volte nell’edificio scolastico perché stavo insegnando oltre l’orario. D’altra parte non si può far lezione guardando l’orologio…
L’insegnamento mi dà una grande carica ed è fonte di tante soddisfazioni.
Come lavori?
Sempre partendo dall’allievo: a seconda di chi ho davanti metto l’accento su quello di cui c’è più bisogno. Ognuno di noi ha aspetti da sviluppare maggiormente, e bisogna lavorare su quelli; magari la tecnica è solida, ma l’allievo non riesce a trasformare la musica in emozione, e allora si tratta di incoraggiare. Cerco di fare quello che ho imparato nelle lezioni di Piero Farulli, che riusciva a farmi suonare in un modo che non credevo potesse essere il mio, così tornavo a casa domandandomi se fossi stata davvero io a suonare così, a lezione. Nella mia piccolissima dimensione cerco di far trovare ai ragazzi un canale di comunicazione attraverso la musica, e questo mi dà sempre una grande gioia. Purtroppo in quest’epoca prevale un modo di suonare che privilegia la perfezione tecnica, e magari anche letture molto cólte, ma spesso a scapito della capacità della musica di procurare emozioni, di far vibrare l’anima dell’autore e di metterla in comunicazione con chi ascolta.
In che modo cerchi di ottenere questo risultato?
Certamente è fondamentale rendere la partitura: questa è la nostra missione, metterci di fronte alla partitura e cercare di capire, partendo da una buona edizione, il più possibile “pulita” e autorevole; saperla leggere con profondità, domandandoci quale può essere l’intenzione che contiene. Alcuni autori invitano a seguire le tante indicazioni che hanno inserito, mentre altri (ad esempio nel ‘700) hanno scritto indicazioni meno dettagliate per quanto riguarda l’agogica, e bisogna imparare a leggere tra le righe, per decidere come utilizzare un colpo d’arco, il vibrato, come realizzare una legatura, un’articolazione. Questo per me è fondamentale per rendere la partitura: sapersi esprimere e rendere vivo il pezzo.
Alla Scuola hai avuto subito una grande responsabilità, dato che nel primo anno d’insegnamento hai messo il violino nelle mani di Lorenza Borrani…
Un’allieva straordinaria, che ha avuto modo di dimostrare le sue grandi qualità sui palcoscenici di tutto il mondo, anche pochi giorni fa agli Amici della Musica di Firenze, dove ha dato un concerto meraviglioso. Sono felice di aver dato le ali per volare a questa musicista colta, profonda e appassionata.
Dopo cinque anni di lezioni, visti i progressi rapidissimi ed il prepotente talento di Lorenza, ho voluto condividere la responsabilità della sua crescita col mio insegnante, Pavel Vernikov, e questo è stato molto importante, anche se non facile.
In che senso?
La condivisione degli allievi è sempre un fatto molto delicato, su cui bisogna riflettere con gran cura, pianificando il lavoro in modo che non ci siano sovrapposizioni, o un eccesso di informazioni, o addirittura talvolta messaggi contrastanti, che possono confondere l’allievo.
Nel caso di Lorenza, ogni tanto il mio ruolo era proprio cercare di mettere in ordine le importanti indicazioni che riceveva da Vernikov e dai suoi vari assistenti…
Lorenza ha spiccato presto il volo, e i suoi successi internazionali, insieme alla sua presenza fondamentale in Europa come spalla della Chamber Orchestra of Europe devono inorgoglire la Scuola, anche perché è un’artista che riesce a vivere pienamente una testimonianza autentica di passione e rispetto per la musica.
In questo senso sono certa che sia stato utile e significativo, per lei e per gli altri allievi, anche il fatto che spesso li portavo con me ai concerti, in modo che la lezione non esaurisse le loro esperienze, ma potessero continuare ad ascoltare e riflettere sulla musica anche in teatro.
La tua classe ha mantenuto sempre un’alta qualità…
Ho avuto molti allievi in gamba, che certamente mi hanno permesso di crescere come insegnante. Tra i più dotati e bravi c’era Paolo Lambardi, altro fantastico violinista, attualmente nella Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai: un ragazzo straordinario, che si è distinto in tantissime situazioni, ed oggi lavora anche con Lorenza, ad esempio nella Spira Mirabilis e in altri progetti.
Marco Scalvini è stato invece il mio primo diploma a Fiesole: una personalità davvero notevole… da molti anni vive in Spagna, dove si sta facendo valere sia come solista, sia nell’Orquesta de Extremadura di cui è membro stabile, sia in tanti progetti di qualità.
Una coppia meravigliosa di bambini di qualche anno fa era formata da Stefano Farulli e Marco Lucchesini, coetanei con grandi e diversissime qualità. Stefano si sta distinguendo all’Universität der Künste di Berlino, grazie alla sua preparazione ed all’intensità emotiva delle sue esecuzioni: quando suona accade sempre qualcosa! Marco è attualmente “in pausa”, ma spero di ritrovarlo presto, perché ha un forte temperamento e capacità comunicativa.
Altri talenti che si stanno facendo onore in Italia e all’estero sono Ilaria Lanzoni e Clarice Binet, e mi fa piacere ricordare anche le fantastiche qualità di Emanuele Brilli, recentemente laureato alla Scuola con lode e menzione d’onore.
Come sono cambiati gli allievi negli anni?
Sono cambiati tantissimo! Soprattutto negli ultimi 10 anni, a causa di internet. Prima eravamo gli unici maestri, ci ascoltavano e si affidavano completamente. Era pacifico che il maestro fosse lì per loro, dedito a risolvere il problema personale ed unico di quell’allievo in quel momento. D’altra parte confesso che mi capita di pensare perfino di notte a come risolvere un problema, ed è una grande soddisfazione riuscire ad accompagnare un allievo fuori da una situazione difficile, magari alla vigilia di un impegno importante. In quel caso la lezione è incoraggiamento (torna ancora questa parola magica!) e trasferimento di un sapere e di un’esperienza che sono irripetibili in un altro contesto. Ci vuole la scienza –e la pazienza!- di mettersi lì a cercare di capire quale sia il movimento sbagliato, la tensione: se riesci a risolvere il problema permetti al ragazzo di andare a suonare felice.
E invece, oggi?
Oggi tutto questo viene un po’ dimenticato; i ragazzi escono da una lezione in cui magari l’attenzione non è stata al massimo, ed ascoltano in rete mille esecuzioni, dopodiché magari cambiano le arcate imitando uno dei violinisti celebri che hanno visto e ascoltato, senza pensare che forse qualche tempo prima anche quell’artista usava l’arcata che avevamo concordato a lezione, perché in quel momento era la più adatta ad eseguire quel singolo passo. D’altra parte tutto è in movimento, ed anche gli interpreti cambiano la loro lettura.
Questo genera confusione, e nel bombardamento delle informazioni si arriva ad una scuola self service, in cui i ragazzi si iscrivono a mille masterclass finendo per essere sommersi da messaggi contrastanti, che li confondono invece di formarli.
Non ravvisi niente di positivo, nei tempi nuovi?
Ci sono anche gli aspetti positivi, naturalmente, perché la facilitazione all’ascolto delle grandi esecuzioni ha generalmente migliorato il livello delle conoscenze (non si fanno più così tanti errori di lettura, o d’intonazione ad esempio…) ma il risultato è un appiattimento dell’emozione, e così è difficile trovare qualcosa che ti colpisca nel profondo.
Per questo vorrei che gli allievi capissero che la decisione di frequentare anche un altro corso dev’essere presa d’accordo con l’insegnante, perché è molto delicata, e se non si è pronti ad andare fuori è semplicemente meglio non farlo, altrimenti si torna indietro.
L’insegnamento si è sempre arricchito, nella tua esperienza, dall’attività dei concerti… Quali sono i programmi per il prossimo futuro?
A breve il Quartetto di Fiesole sarà ospite degli Amici della Musica di Firenze, così il 10 marzo torneremo con grande gioia al Teatro della Pergola, in un progetto monografico dedicato a Šostakovič, di cui eseguiremo il Quartetto n. 8 e il Quintetto con pianoforte con Pietro De Maria, mentre Sandro Cappelletto sarà voce narrante delle vicende personali e politiche del grande compositore russo.
Per il resto, il trentennale del Quartetto ci sembra una bella occasione per un progetto di omaggio ai nostri eccezionali insegnanti. Abbiamo alcuni inviti, in diverse città italiane, e pensiamo a programmi dedicati proprio ai maestri: musica russa in omaggio a Berlinsky, Dvořák per Škampa, Schubert e Mozart per Brainin, i quintetti con due viole per ricordare Piero Farulli…
Insomma, vorremmo non tanto festeggiare noi stessi, quanto piuttosto i maestri e gli artisti che ci hanno accompagnato, ed ai quali siamo infinitamente grati per averci trasmesso la loro grande sapienza ed il loro amore per la musica.