I miei contatti con Piero Farulli sono stati sempre piuttosto brevi: lo incontravo nella Scuola, e se talvolta lamentavo un certo assenteismo degli studenti, allora più diffuso che non oggi, mi diceva, con quella sua severa allegria: ” ma che bello, così puoi studiare di più”. Era vero. Se non suonavi, se non lavoravi, se non facevi qualcosa di utile, a te o agli altri, cosa ci stavi lì a fare?
In Piero il fare, il costruire qualcosa, il suonare, il pensare la musica, erano inscindibili. Bisognava vederlo e ascoltarlo – lì sì che ho memorabili ricordi – nei concerti del Quartetto Italiano, come in quelli in Klavierquartett con il Trio di Trieste, per sentire come la consapevolezza, la certezza di essere nel giusto, l’amore per la musica erano tutt’uno con la sua persona: come Beethoven aveva dovuto comporre i suoi Quartetti, così Piero doveva suonarli, quasi immedesimandosi.
Senza questa passione, la realizzazione di un progetto inverosimile come quello della Scuola sarebbe stata impossibile.
Bruno Canino