Il grande talento pianistico ed una formazione severa sono il formidabile bagaglio di Elisso Virsaladze, che attraversa il mondo suonando nei più importanti luoghi della musica, insegnando in scuole prestigiose e partecipando alle giurie dei massimi concorsi internazionali.
Elisso Virsaladze tiene da più di dieci anni un affollato corso di perfezionamento alla Scuola, ed ha accolto molto gentilmente l’invito a raccontarsi, nonostante l’attuale impossibilità di un incontro ravvicinato; l’abbiamo raggiunta al telefono nella sua casa di Mosca.
Come va?
Sto bene, grazie! Ma è tutto così strano… siamo fermi nell’ignoto, e non sappiamo cosa succederà. All’inizio ho provato una sensazione quasi di straniamento: in tutta la vita non mi era mai capitato di stare in casa mia per così tanto tempo.
Anche a Mosca siete confinati?
Sì, proprio come voi in Italia, fino ad ora tutto è chiuso e si parla di ripartire in agosto. In realtà non riesco ad immaginare un ritorno alla normalità, credo che dovremo avere molta pazienza
Come trascorre le sue giornate?
Studiando, e mantenendo il contatto con gli allievi che mi inviano le loro registrazioni. Ascolto e poi riascoltiamo insieme, così spiego loro cosa possa essere migliorato.
Vuole raccontarci come è arrivata alla musica?
È stata la musica ad arrivare a me: era già nella mia casa, perché la nonna paterna era una pianista, ed insegnava al Conservatorio della mia città, Tblisi. All’epoca non era così comune iniziare come succede adesso, giocando, a tre o quattro anni. Così, nonostante il pianoforte fosse a disposizione in casa, in un certo senso ne sono stata tenuta lontana, o meglio non mi è stato possibile avere l’insegnamento della nonna fino agli otto anni. Era proprio lei a non voler cominciare a seguirmi, sia per l’età (i suoi allievi erano ragazzi più grandi, almeno adolescenti) sia per il nostro legame familiare.
Ma una volta constatato che, anche senza aver preso lezioni, suonavo istintivamente molti dei pezzi che lei insegnava, la nonna ha dovuto arrendersi, e includere anche me tra i suoi allievi.
E poi come ha proseguito?
Ho frequentato le scuole della mia città, a partire dalla Scuola musicale centrale, che nel nostro sistema didattico si frequenta prima del Conservatorio. Sempre a Tblisi ho fatto il Conservatorio fino al diploma, mentre iniziavo a seguire a Mosca le lezioni di Heinrich Neuhaus.
Poi sono andata a vivere a Mosca, ed è cambiato tutto: mentre a Tblisi ero molto indipendente, e potevo organizzare il mio studio liberamente, senza pressioni, a Mosca la mia indipendenza è completamente sparita. Dovevo seguire scrupolosamente le indicazioni degli insegnanti e soprattutto misurarmi quotidianamente con gli altri allievi, pianisti bravissimi che vincevano tutti i concorsi internazionali. La competizione era fortissima.
Molto stimolante, ed insieme parecchio faticoso…
Proprio così. Al secondo anno di perfezionamento ho cominciato anche ad insegnare, e sono stata assistente di Lev Oborin, famoso pianista russo che aveva vinto il Concorso Chopin di Varsavia nel 1927. Tra i suoi allievi c’erano musicisti poi divenuti famosi, come Bella Davidovich, ma la scuola di Oborin non era la mia; il tirocinio è stato molto interessante, perché ha ampliato il mio bagaglio di conoscenza, che proveniva invece dalla scuola di Neuhaus, insegnante di Yakov Zak, un pianista di grandissimo talento (a sua volta vincitore del Concorso Chopin, nel 1937), col quale ho avuto la fortuna di perfezionarmi.
In cosa consisteva la differenza fra le scuole?
È molto difficile da dire, perché alla fine si trattava soprattutto di differenze tra le fortissime personalità dei vari insegnanti. Ciascuno di loro dava un’impronta differente alla sua scuola pianistica, ma si trattava di un modo diverso per arrivare a risultati ugualmente eccellenti.
Nel 1962 lei conquistava il terzo premio al Concorso Čajkovskij e iniziava la sua attività concertistica
Moltissimi concerti in Unione Sovietica, ma era molto difficile suonare all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. I concerti all’estero erano gestiti da Goskonzert, l’agenzia di stato: un solo impresario aveva il monopolio di tutta l’attività internazionale. Così solo chi era nei suoi favori riusciva ad avere uno spazio fuori dall’URSS.
Ricordo che nel 1964 fui felicissima di sapere che avevo ricevuto l’invito a tenere un recital alla Carnegie Hall di New York. Bene, Goskonzert non mi permise di andare, e mandò al mio posto un’altra pianista. Era molto frequente che succedessero cose così spiacevoli.
Nel frattempo lei approfondiva la musica di Schumann, e nel 1966 vinceva il Concorso Internazionale Robert Schumann di Zwickau
La vittoria di quel concorso mi ha portato a viaggiare molto nell’Europa dell’est: negli anni ’70 ho iniziato a frequentare abitualmente il Gewandhaus di Lipsia, la Stadtkapelle di Dresda e l’Orchestra della Radio di Berlino. Poco a poco sono riuscita ad avere un’attività internazionale soddisfacente, ma le cose sono cambiate radicalmente, come per tutti, dopo il 1989.
Com’è venuta a sapere dell’esistenza della Scuola di Musica di Fiesole? Aveva conosciuto personalmente Piero Farulli?
Non ho mai incontrato Farulli. Di Fiesole mi parlava Natalia Gutman, che vi insegnava già da qualche anno. A Natalia mi lega una lunghissima amicizia umana e professionale, così ho seguito il suo consiglio ed accettato di venire anch’io a insegnare alla Scuola.
Per 15 anni avevo avuto la classe alla Hochschule di Monaco, dove avrebbero voluto che restassi anche oltre il pensionamento, ma ho preferito lasciare la Germania e insegnare qui, dove apprezzo moltissimo la possibilità di lavorare nella più completa indipendenza.
Alla Scuola lei è sempre in mezzo ad un folto gruppo di allievi
È vero! Attualmente la classe è composta da 17 allievi, e li vedete tutti insieme perché ci tengono ad ascoltare tutte le lezioni.
Il lavoro è moltissimo. Inizio alle 10 del mattino e finisco quando… la Scuola chiude!
Devo ammettere che però è soprattutto un piacere, grazie al fatto che sono tutti molto diversi tra loro ma ugualmente interessanti, e molto bravi.
Da dove vengono?
È una classe cosmopolita. Ci sono allievi statunitensi, inglesi, francesi, giapponesi, bulgari, spagnoli e tedeschi, oltreché italiani, naturalmente.
Quante volte li incontra?
Cinque volte in un anno scolastico, però vorrei aumentare il numero dei giorni di lezione di ogni periodo, perché tenere la concentrazione per dieci ore è difficile; soprattutto quando gli allievi sono molto bravi, l’impegno per l’insegnante è davvero tanto. Vorrei stare almeno una settimana.
Lascia liberi gli allievi di scegliere il repertorio su cui lavorare?
Sì, cerco di esser loro d’aiuto nella preparazione dei concorsi o dei concerti, che tutti hanno già iniziato a tenere. Alcuni di loro avevano superato le selezioni per concorsi internazionali molto importanti: Elia Cecino, ad esempio, avrebbe dovuto essere a Tel Aviv, dove il 5 maggio era previsto l’inizio del Concorso Rubinstein, che è stato ovviamente rimandato. Stessa sorte per i tre allievi che erano stati ammessi al Concorso Regina Elisabetta di Bruxelles… tutto è sospeso ed incerto, e questo non aiuta certo nessuno, tantomeno i giovani bravi.
Nel frattempo li segue online
Ho scoperto che sono lezioni utili, soprattutto se gli allievi registrano i video, che funzionano meglio dell’esecuzione in diretta (di pessima qualità acustica).
Con le nuove regole di distanziamento abbiamo nuovi problemi, ma alla fine, per i musicisti, i problemi da risolvere sono sempre gli stessi.
Ovvero?
Penso che una delle cose più difficili da insegnare sia il sentimento del tempo, intendendo con questo la conduzione della frase, l’andamento ritmico che specie in Bach e in Schubert non deve assolutamente essere metronomico, ma con una qualità di rubato speciale. Credo che alla fine Bach e Schubert abbiano più bisogno del rubato di Chopin e Schumann.
Così le conversazioni whatsapp con gli allievi sono incentrate su questi argomenti: riascoltando le loro esecuzioni registrate si rendono conto di cosa non funziona e così possiamo parlare della forma da dare al tempo perché l’esecuzione sia viva.
Un’ultima domanda, per immaginarla nella sua casa di Mosca: ha anche un piccolo giardino?
Purtroppo non ho il giardino. La mia casa è molto grande, perché ho riunito insieme due appartamenti, ma la natura è solo nei fiori che coltivo sul balcone.
Non vedo l’ora di tornare a Fiesole, a far musica nel verde della Torraccia!