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Intervista a Marco Biscarini

Il compositore bolognese è tra i docenti del nuovo Triennio di musica applicata, ed il nostro incontro online è l’occasione per parlare di musica e cinema con l’autore della colonna sonora di Volevo nascondermi, il film di Giorgio Diritti che ha vinto quest’anno ben sette David di Donatello, tra cui quello per il miglior suono.

Come è iniziata la tua avventura nel mondo del cinema?
Il mio percorso parte da lontano: mi avvicinai per la prima volta alla musica da film frequentando, all’inizio degli anni ‘90, i corsi di Ennio Morricone all’Accademia Chigiana di Siena. Fu un’esperienza magnifica ed emozionante, perché in quegli anni il corso della Chigiana era l’unica opportunità per accostarsi alla composizione per il cinema, e così da studenti la vivevamo come un’avventura speciale: per due anni consecutivi vinsi il diploma d’onore, ed ebbi la soddisfazione di veder eseguiti i miei lavori.

Il tuo percorso di studi aveva già visto il raggiungimento di obiettivi importanti
Avevo studiato al Conservatorio di Bologna, dove mi sono diplomato in musica elettronica con Lelio Camilleri e poi in composizione con Alessandro Solbiati, e al DAMS dove mi sono laureato in Musicologia. Credo che già queste scelte possano dare l’idea di un musicista curioso, che non si accontenta di scrivere una partitura, ma desidera andare oltre.
Se a Siena, negli anni ’90, imparavamo un lavoro artigianale di scrittura, nel giro di pochi anni la figura del compositore di musica per il cinema diveniva molto più complessa e specialistica.
Morricone sosteneva che doveva trattarsi di un compositore tout court, semplicemente “prestato” al cinema…

In effetti teneva molto ad essere considerato tale, nonostante il grande successo fosse giunto con l’attività cinematografica…
Oggi invece possiamo dire che il compositore per il cinema è una figura ben specifica e poliedrica, il cui bagaglio tecnico tradizionale si unisce alle approfondite competenze tecnologiche necessarie per realizzare un’originale opera creativa – la colonna sonora – divenuta qualcosa di molto più complesso di una semplice partitura.

Nel 2005 hai iniziato la collaborazione con il regista Giorgio Diritti per il film Il vento fa il suo giro, e ne è nato un sodalizio fecondo
Proprio così! Con Diritti siamo al quarto film, e ce n’è in progettazione un quinto.
Dal primo film a Volevo nascondermi sono passati 16 anni: c’è stato un percorso di crescita e maturazione di entrambi, e lavorare insieme ci ha portati ad affinare di volta in volta gli obiettivi. Giorgio non vuole mai ripetersi e per ogni film ricominciamo daccapo, con una nuova ricerca che coinvolge la scrittura in ogni ambito.

Come è strutturato il percorso per la costruzione di una colonna sonora?
Ci sono delle differenze di lavorazione: nei film di carattere industriale (dove io lavoro poco) il compositore scrive la musica una volta ricevuto il montaggio, mentre nel cinema d’autore c’è un lavoro a monte. La collaborazione inizia in fase di scrittura, e prosegue durante tutta la lavorazione del film, che dura dai 9 ai 12 mesi. Spesso il regista desidera avere già all’inizio alcune idee sul suono, che si possano sentire mentre gira, anche per determinare i tempi.

Quindi sei presente sul set?
Certamente, anche per trovare a mia volta ispirazione e catturare gli ambienti sonori che costituiscono una parte del materiale di cui sarà costituito il suono del film.

Qual è lo spazio per esecutori in carne ed ossa, in questo tipo di lavoro?
Quello di sempre, nella parte produttiva, dove si registra con strumenti veri, coinvolgendo solisti, ensemble ed orchestra. Rispetto al passato la differenza è rappresentata dalla compresenza del mezzo elettronico, che va ad unirsi alla parte eseguita dai musicisti per creare un unicum.
Si tratta di una naturale evoluzione, che va di pari passo con l’attitudine a considerare la fruizione dell’opera cinematografica un’esperienza immersiva: oggi lo spettatore vuole sentirsi “dentro” il film, per questo penso che le sale cinematografiche sopravvivranno, visto che sono l’unico luogo dove il film può essere goduto completamente.

Per lavorare in questa complessità hai creato Modulab
È un luogo di artigianato moderno, con le stesse caratteristiche di una bottega fiorentina del Rinascimento, dove si fa ricerca di nuove possibilità di linguaggio, con collaboratori e giovani praticanti che formano un team di lavoro. Dico sempre che “suono lo studio di registrazione”, e lo stesso desidero che facciano, in modo creativo, gli studenti, sfruttando insieme tecnologia e tecniche compositive tradizionali.
Il compositore esce dal solipsismo romantico del suo studio, dove scriveva in segreto interfacciandosi con gli altri solo nel momento produttivo, cioè l’esecuzione delle musiche. Nella bottega si compie invece un percorso unitario, che nasce nello studio di registrazione e arriva fino al mixaggio finale del film.

Questa attitudine a occuparti interamente del processo creativo è una tua cifra personale?
C’è un precedente storico, rappresentato da Mario Nascimbene – compositore della generazione di Morricone oggi un po’ dimenticato – che però ebbe notevole successo negli anni ’50 e ’60, arrivando anche a Hollywood per grandi produzioni. Nascimbene aveva creato uno strumento che si chiamava Mixerama, prototipo del mixer digitale moderno, col quale elaborava i suoni che aveva precedentemente archiviato su nastri magnetici. Quando qualcuno mi ha definito la “reincarnazione” di Nascimbene non solo mi ha fatto piacere, ma mi ha reso ulteriormente consapevole che si tratta di una strada sulla quale ci si è avventurati per la consapevolezza che suono e musica devono stare insieme: le mie composizioni sono per un tutt’uno con il vento, la pioggia, il canto degli uccellini…
Alcuni pensano ancora che la colonna sonora sia semplicemente un brano sapientemente scritto per l’orchestra, ma già la critica, il giornalismo e la musicologia si sono accorti che siamo andati oltre e valorizzano molto questo tipo di lavoro, ed è in questa direzione che si sta muovendo il nuovo cinema nordeuropeo.
Del resto Volevo nascondermi ha vinto tra gli altri il David per il suono che, contribuendo ad introdurre lo spettatore nella mente psicotica del protagonista, si manifesta come motivo poetico e indispensabile elemento della realizzazione filmica.
Musica, audio, sound design… tutto concorre ad un unico progetto sonoro: il cinema rimane una grande opera collettiva, come l’opera lirica.

A proposito del lavoro di squadra, siamo felici che tu sia nel team del nuovo Triennio di musica applicata
Sono molto felice anch’io, di portare a Fiesole l’esperienza che ho sviluppato nella professione e nell’insegnamento: è una grande scuola, cui vorrei si aggiungesse l’appeal che ebbero per noi giovani degli anni ‘90 i corsi della Chigiana. Firenze ha un’ottima tradizione documentaristica e la Toscana Film Commission è vivace e in crescita. Far interagire queste componenti può creare a Fiesole una bella realtà, e lo dico da bolognese (sorride, n.d.r.)…

…Peraltro molto legato alla sua città, comprese le manifestazioni musicali del 2 agosto (che ogni anno commemorano la strage del 1980 alla stazione ferroviaria)
Vero, ma sono molto legato anche alla vostra regione, perché L’uomo che verrà (David di Donatello 2010) ebbe un convinto finanziamento proprio dalla Toscana Film Commission, che volle sostenere il film per la tematica legata alla strage nazista.

Tornando al Triennio di musica applicata, chi è lo studente-tipo di un corso del genere?
I profili che ho verificato nella mia esperienza didattica sono essenzialmente due: un primo tipo viene da studi compositivi o strumentali (in particolare pianisti e strumentisti ad arco) e quindi si muove dalla tradizione verso la musica applicata; un secondo tipo parte invece da esperienze tecnologiche o di musica elettronica, e comprende anche i cosiddetti ragazzi “smanettoni”, che hanno una musicalità magari selvaggia ma possono essere efficaci sul fronte del sound design o delle produzioni elettroniche, trovando un giusto campo di interesse e di sviluppo del loro talento.
Dobbiamo colmare le lacune tecniche dei primi e quelle musicali di base degli altri ma, fatto questo, gli allievi possono dare grandissimi risultati in team.
D’altronde si tratta di un corso crossover, perché il cinema è un luogo di incontro di creatività e talento che raccoglie tutto, dalla canzone alla sinfonia; perciò ben vengano tutte le tipologie di allievi, a patto che si faccia un lavoro serio per preparare tutti su temi imprescindibili come solfeggio, armonia e contrappunto.

Ci sarà da impegnarsi, quindi… e cosa succede alla fine del percorso?
La laurea triennale di I livello evidenzia già un profilo e individua una professionalità: non ci attendiamo che diventino tutti compositori, ma il mondo produttivo sa cogliere l’opportunità di coinvolgere un bravo sound designer, oppure un foley artist, che ricrea i mille rumori necessari alla scena ma non colti dalla presa diretta, o anche un music editor, cioè colui che sceglie brani già esistenti per sincronizzarli con le scene di un film. Per quest’ultima attività servono una grande competenza in merito al repertorio ed una linea estetica ben definita, per riuscire a mescolare con gusto Vivaldi ed hard rock.

Tutte queste figure sono essenziali nel mondo del cinema, e più in generale dell’audiovisivo
Proprio così. Per questo sono convinto che si tratti di un percorso professionalizzante, e non nell’accezione populista di cui oggi si abusa, ma realisticamente: i diplomati nel Triennio di musica applicata saranno in grado di offrire le loro capacità, e questo anche se non dovessero arrivare alla firma autoriale di una colonna sonora.
Peraltro penso che la figura solitaria del compositore di musica per film – che già oggi in America si chiama producer, per le molteplici competenze che deve mettere in campo – sarà sempre più sostituita da un team di lavoro.
E qui a Fiesole vogliamo mettere i nostri allievi in condizione di fronteggiare le sfide artistiche e professionali che il futuro prepara per loro.

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