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Intervista a Marco Toro

Un altro dei brillanti strumentisti che hanno frequentato i corsi dell’Orchestra Giovanile Italiana siede stabilmente tra i leggii dell’Orchestra del Teatro alla Scala, nel ruolo di prima tromba. Il suo nome è Marco Toro, e queste le sue risposte alle nostre domande.  

 Hai appena ricevuto la conferma definitiva del tuo ruolo, dopo il periodo di prova…come sono stati questi mesi nel teatro più celebre del mondo?
Sono stati mesi pesanti ed emozionanti allo stesso tempo: pesanti perché ho dovuto affrontare dei ritmi di lavoro ai quali non ero abituato, ed emozionanti per le sensazioni che ho vissuto. Devo ammettere che quando ho iniziato a Milano ero molto timoroso per quello che mi aspettava: il grande prestigio del teatro, i programmi molto impegnativi che dovevo affrontare, erano molti i dubbi con i quali ero alle prese: dopo aver rotto il ghiaccio però, con un concerto con la Filarmonica del teatro diretta dal Mº Chailly, mi sono subito sentito a mio agio, sostenuto dai colleghi della fila degli ottoni e dall’orchestra in generale, e quindi, come dicevo prima, l’entusiasmo ha fortunatamente avuto il sopravvento sui dubbi e sulle pressioni. Altri momenti salienti (emotivamente e trombettisticamente) di questo periodo sono stati la famosa ‘Prima’ del 7 dicembre con la Giovanna d’Arco di Verdi sempre con il M° Chailly, il balletto Cenerentola di Prokofiev con il M° Jurowski e la Quinta Sinfonia di Mahler con la Filarmonica, in tournée e a Milano con il M° Chung. 

In questi anni hai collezionato esperienze molto diverse: cosa significa passare dalla Banda dell’Esercito Italiano alla Spira mirabilis?
Bella domanda, questa! È stato sicuramente difficile conciliare esperienze musicali molto diverse, ma la cosa che mi ha aiutato è stata quella di cercare sempre di imparare con entusiasmo, e di sommare tutti questi insegnamenti al bagaglio delle mie conoscenze. Ad esempio, uno dei formidabili ‘effetti collaterali’ che derivano dal suonare con la Spira mirabilis è la maggiore facilità che si ha nel suonare in orchestra e nel seguirne il flusso.

Come avevi scelto il tuo strumento? Quali sono stati i tuoi maestri?
Quella della tromba è stata una scelta maturata in famiglia: i miei fratelli maggiori suonavano uno l’organo e l’altro la tromba; io avevo 9 anni e pensavo che sarebbe stato più facile suonare uno strumento con tre ‘tasti’ piuttosto che uno con qualche centinaio! (…forse se avessi saputo la fatica che mi aspettava, avrei fatto una scelta diversa…) Ho avuto vari insegnanti, che hanno segnato il mio percorso: al Conservatorio di Frosinone ho iniziato con Alessandro Vecchiotti, che ha avuto il merito di farmi innamorare della musica in generale; finiti gli studi accademici ho continuato il mio percorso con Davide Simoncini, che è colui che mi ha ‘plasmato’ come trombettista d’orchestra, e nel frattempo ho frequentato varie masterclass con altri grandi strumentisti e didatti, tra cui Andrea Conti, Andrea Dell’Ira, Rex Martin, Giancarlo Parodi, Marco Pierobon.

Come sei arrivato alla Scuola di Musica di Fiesole?
A Fiesole sono arrivato in seguito all’idoneità ricevuta alle audizioni per l’OGI/EUYO tenute a Roma nel febbraio 1999; nell’aprile dello stesso anno venni chiamato come strumentista aggiunto per i progetti di musica da camera con il Maestro Globokar e nell’estate successiva esordii con l’OGI nella Prima sinfonia di Mahler diretta dal Maestro Inbal. Ad ogni modo, conoscevo già la Scuola dai racconti di mio fratello David, che prima di me l’aveva frequentata nella classe di Composizione del Mº Manzoni, e mi aveva raccontato dell’aria speciale, magicamente intrisa di musica in ogni momento, che vi si respirava.

Quali ricordi conservi dell’esperienza nell’Orchestra Giovanile Italiana?
Questa è una domanda alla quale è riduttivo rispondere in poche righe. È stato all’OGI che ho capito cosa mi sarebbe piaciuto fare nella vita, ed è stato all’OGI che ho conosciuto amici importantissimi. I miei ricordi sono quelli di un posto dove si acquisiscono delle conoscenze fondamentali, e dove si impara il rispetto per gli altri e per le loro idee, il tutto in un clima leggero e spensierato (ricordo ancora con piacere le feste e i momenti di svago nelle serate fiesolane…).

Cosa consiglieresti ad un giovane collega che frequenta l’OGI nel 2016?
Consiglierei di dedicare più tempo possibile allo studio, di non tuffarsi troppo presto esclusivamente nel mondo del lavoro, perché l’età fino ai 25-26 anni è quella in cui si imparano con maggior facilità concetti e strumenti utili per la professione che si eserciterà fino alla pensione. Anch’io, ad esempio, sbagliai a lasciare l’OGI – che avrei potuto frequentare ancora per un anno – per non rinunciare alle prime collaborazioni con gli enti lirici, mentre avevo ancora tanto da imparare.

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