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Intervista a Simone Ori

Con grande naturalezza e altrettanta semplicità Simone Ori “abita” la musica: pianista, organista, cembalista, continuista, direttore d’orchestra, maestro collaboratore, Simone è da qualche anno un docente prezioso per la Scuola.
Insegna Pratica dell’accompagnamento pianistico, una materia che racchiude un mondo di esperienze, dalla musica antica all’opera, passando in rassegna le tante possibilità che la tastiera schiude ad una mente curiosa e ad una straordinaria passione.
La nostra conversazione è online non soltanto a causa della pandemia: Simone Ori è a Valencia, dove partecipa all’allestimento de La Cenerentola di Rossini sotto la direzione di Carlo Rizzi. Davvero una grande notizia, di questi tempi.

A colloquio con Simone Ori

Leggo che la tua storia musicale è iniziata a sud del Mediterraneo…
Mio padre lavorava agli impianti del gas che il Nuovo Pignone aveva impiantato in Tunisia, così quando avevo sette anni la mia famiglia si trasferì per un paio d’anni a Tunisi, dove alloggiammo in una bella casa, di proprietà della nipote del Presidente della Repubblica Habib Bourghiba.
La buona sorte volle che la casa contenesse un ottimo pianoforte a mezza coda, così la mia curiosità musicale (peraltro già precedentemente manifestata…) poté essere da quel momento soddisfatta: iniziai a prendere lezioni da una brava insegnante, che aveva studiato in Francia, e con lei ebbi un bellissimo rapporto. Ricordo il mio primo saggio, compreso il terrore col quale mi apprestai a suonare davanti agli altri…

Poi siete tornati in Italia
A Prato, dove abito tuttora, e così nel 1988 sono entrato al Conservatorio di Firenze nella classe di Giovanni Cicconi, con il quale ho studiato fino al conseguimento del diploma in pianoforte. In breve il Conservatorio divenne per me una seconda casa, un ambiente dove era possibile confrontarsi con i coetanei, con i ragazzi più grandi e con gli insegnanti. Ero molto curioso e desideroso di fare esperienza, così presto mi trovai ad accompagnare il mio primo violinista, un ragazzo coreano allievo di Claudio Cornoldi, rimanendo sconvolto perché, nonostante suonassimo linee diverse… l’insieme funzionava a meraviglia!

Una scoperta fantastica! Così non ti sei più fermato…
Facendo anche un po’ arrabbiare il mio maestro, che si preoccupava del fatto che non mi rimanesse abbastanza tempo per studiare il pianoforte. In ogni caso la mia curiosità non era arginabile, così mi capitava di andare ad esempio ad assistere alle lezioni di arte scenica di Gennaro Sica, finché una volta l’assenza improvvisa della pianista mi catapultò davanti alla tastiera: mi fu detto di fare “quattro note” per accompagnare l’allieva (che era nientemeno che Patrizia Cigna!), e così mi trovai dinanzi ai quattro pentagrammi della partitura di un’aria da Enrichetta e Don Chilone di Leonardo Vinci e iniziai a misurarmi – piuttosto impacciato – con la lettura di qualcosa di ben diverso dagli spartiti per pianoforte.
Dopo l’iniziale smarrimento la cosa mi parve molto interessante, e iniziai ad accompagnare la classe di arte scenica nella quale ho incontrato tanti bravi cantanti, tra cui le sorelle Cigna, Marina Comparato e Barbara di Castri, per fare solo i primi nomi che mi vengono in mente.

Dovevi avere un’ottima capacità di lettura a prima vista
Direi che l’ho acquistata con la pratica: oltre a districarmi nei quattro pentagrammi della partitura dell’intermezzo per arte scenica, spesso mi trovavo ad accompagnare i violinisti nelle sonate antiche e Cornoldi, ad esempio, usava le edizioni manoscritte col solo basso cifrato, invece di quelle allora più frequenti in cui le realizzazioni alla tastiera recavano scrittura e fraseggi direi novecenteschi.
Inoltre iniziai a collaborare anche con le classi di Miriam Sadun e Paolo Crispo, così sotto le mie dita passava molto repertorio violinistico, che si ampliò ulteriormente grazie alla decennale collaborazione con uno straordinario violinista ungherese, Viktor Csányi (oggi spalla dei secondi nell’Orchestra dell’Arena di Verona), con il quale ho letto quasi tutti i concerti per violino del grande repertorio: un’esperienza molto formativa, oltre che gratificante sul piano artistico.

Torniamo al basso continuo… chi ti ha aiutato a realizzarlo?
Ho provato e riprovato, prima “semplicemente” cercando di codificare gli accordi corretti da suonare, poi comprendendo che occorreva altro… il vero problema iniziale è trovarsi ad eseguire qualcosa che non si vede sul foglio, che non esiste ma va creato.
All’epoca, come studente di pianoforte non avevo accesso alle lezioni di basso continuo, che fanno parte del programma di studi di cembalo, al quale per altro non si poteva accedere senza essere in possesso di un diploma di pianoforte o di organo. Una cosa incomprensibile, essendo il cembalo uno strumento totalmente indipendente e diverso dal pianoforte (sull’organo si potrebbe fare discorso a parte). Comunque iniziai a frequentare come uditore la classe di Anna Maria Pernafelli, vero punto di riferimento per lo strumento.

Una volta conclusi gli studi pianistici hai proseguito con le altre tastiere
Sono entrato nella classe di cembalo di Annaberta Conti come allievo effettivo, e con il suo fondamentale insegnamento umano e musicale nel 2006 ho conseguito il diploma. Nello stesso anno ho concluso anche gli studi di organo sotto la guida di Mariella Mochi (un anno di grande fatica, il 2006, che non dimenticherò mai!). In entrambi gli strumenti mi sono poi perfezionato con Federico Del Sordo, Claudio Astronio e Roberto Loreggian.
La curiosità mi aveva nel frattempo portato a frequentare anche il corso di composizione, grazie al quale entrai nella classe di lettura della partitura di Riccardo Antonino Luciani, un gigante!

Racconta…
Luciani mi ha dato gli occhi per “vedere” la musica, a partire dalla prima esperienza (poi risultata essere buffa e un po’ traumatica) come suo nuovo allievo: animato dal sacro fuoco volevo subito esaminare le partiture, ma lui mi disse pacato: “Calma, bisogna partire dal trasporre i corali bachiani” e mi assegnò, come primo compito, appunto quello di trasportarne uno un tono sotto. Mi presentai alla lezione successiva con il corale trascritto sul quaderno un tono sotto e lui mi apostrofò con un: “Ma cosa hai fatto?? Lo dovevi LEGGERE, un tono sotto, non SCRIVERE!”
Partendo da questo punto ho cominciato a capire cosa mi chiedeva e, un passo dopo l’altro, dai corali siamo arrivati alle… sinfonie di Bruckner, la mia grande passione: un’esperienza grandiosa!
Ricordo che aspettavo la lezione di Luciani, il sabato mattina, come un appuntamento foriero di continue scoperte e di gioia, tra cui quella puramente fisica di suonare questi brani.
Tra l’altro la mia passione bruckneriana era ben annaffiata e curata, sempre in quegli anni, dal mitico Professor Michele Ignelzi al Liceo musicale interno al Conservatorio.
Insomma, sono consapevole della grande fortuna di aver avuto grandi maestri, in un momento in cui nei corridoi si potevano incontrare personalità musicali del calibro di Romano Pezzati, Leonardo Pinzauti, Alfonso Borghese

Oltre alla composizione hai studiato anche direzione d’orchestra
Dal 1997 al 2001 ho seguito le lezioni di Piero Bellugi, musicista raffinato e generoso, dotato di una capacità didattica incredibile e di una chiarezza “chirurgica”, con cui focalizzava qualsiasi problema in poche parole, portandoti rapidamente alla soluzione.
Sono stato poi per un decennio pianista accompagnatore (insieme a Cristiano Manzoni) della classe di direzione d’orchestra di Alessandro Pinzauti dal quale ho imparato molto, e a cui sono grato per l’esperienza che mi ha permesso di fare. Dovendo leggere direttamente dalla partitura, suonare in quel contesto mi ha consentito di acquisire un aspetto fondamentale, vale a dire l’indipendenza di occhi, mani e testa: sperimenti la necessità di dover scegliere “cosa” suonare senza far mancare niente a chi sta dirigendo e contemporaneamente seguire e capire il gesto.
Ho poi approfittato dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento per conseguire, sempre con Alessandro Pinzauti, il Biennio specialistico in direzione d’orchestra, e grazie a questo titolo ho potuto frequentare il corso Post Graduate presso la rinomata Universität für Musik und darstellende Kunst di Vienna, con Mark Stringer e Yuji Yuasa, fino al 2011.

Un percorso davvero esaustivo di tutte le tue curiosità musicali, direi
Non è stato tutto facile… ho sempre cercato di migliorare, ponendomi tante domande e cercando le risposte in molti modi, tra cui la frequentazione di alcune masterclass di pianoforte, organo e cembalo. Ricordo con particolare entusiasmo quella a cui partecipai nel 1996 (la prima di una lunga serie…) con un pianista tedesco, di Trier, che mi incuriosiva molto dopo che lo avevo ascoltato al Teatro della Pergola. Non ero ancora diplomato e così assistetti alle lezioni degli allievi effettivi, ma Alexander Lonquich mi conquistò all’istante a partire dal modo con cui invitava gli allievi a sedersi al pianoforte. Ascoltando quelle lezioni mi si aprì un mondo…
Quello che credo di aver capito attraverso tutte le esperienze fatte è che la musica è come un grande albero, con un unico tronco ma moltissimi rami, e più allarghi le tue possibilità di comprensione, più è semplice averci a che fare.

È il contrario dell’accanita specializzazione degli ultimi decenni, che tende invece a restringere il campo d’azione dei musicisti ad un singolo settore
Infatti, e sono certo che esplorare i vari aspetti e conoscere di più possa offrire tante belle opportunità. Nell’opera, ad esempio: ieri sera abbiamo avuto la prima de La Cenerentola, qui al Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia, sotto la direzione di Carlo Rizzi. Suonare i recitativi è un’occasione creativa estemporanea, che oltre alla competenza coinvolge la fantasia, il gusto e l’estro del momento, creando qualcosa che non c’era e che domani sarà inevitabilmente diverso.

Com’è la situazione a Valencia?
Non molto diversa che in Italia, ma il teatro è aperto e il pubblico può assistere occupando metà della capienza della sala, ovviamente con mascherine. Anche coro e orchestra le indossano, mentre i cantanti in scena agiscono molto distanziati grazie ad un palco enorme, che mi fa pensare che tra una quinta e l’altra… cambi il fuso orario!
In realtà sono molto contento di esser tornato qui, dopo che in febbraio ero venuto per partecipare all’allestimento di Un viaggio a Reims. A causa della difficile situazione che stiamo vivendo preferisco non rientrare a casa, dovendo all’inizio dell’anno nuovo andare direttamente al Gran Teatro di Genève per il Tito mozartiano… dobbiamo tenere duro!

Torniamo al tuo essere musicista “globale”
Penso che l’aspetto improvvisativo sia fondamentale nella formazione di un musicista, perché è da sempre così: i musicisti hanno per lo più imparato a maneggiare la materia musicale, quindi la composizione dall’improvvisazione strumentale. Era così nello stile galante, che non è affatto lo stile del basso albertino, ma lo stile dei grandi compositori che noi, a posteriori, abbiamo chiamato “classici”, ovvero di epoca classica; copre un arco di tempo molto lungo, e i suoi modelli, didattici e non solo, sono addirittura giunti fino al ‘900 (vedi scuola napoletana).
Mozart scriveva musica galante, in senso ampio, e Carl Philipp Emanuel Bach non faceva certo accompagnamenti semplificati e banali… su queste cose si deve fare chiarezza.
Comunque, a proposito di musicisti “globali”, considero fondamentale, oltre alle opportunità di approfondimento con tanti grandissimi cantanti e strumentisti, l’Incontro (con la I maiuscola!) che otto anni fa ha determinato l’inizio di una collaborazione di cui sono particolarmente orgoglioso, quella con Stefano Montanari, che era già per me un mito quando, negli anni ’90, lo ascoltai alla testa dell’Accademia Bizantina insieme ad Ottavio Dantone.
Un musicista straordinario, Stefano, che io considero il punto di arrivo del mio percorso, anche didattico: non è solo un violinista e pianista pazzesco, ma anche un direttore incredibile ed un continuista pieno di energia, che fa dei recitativi fantastici… insomma, un musicista a tutto tondo, che passa con naturalezza da un aspetto all’altro dell’attività musicale, sempre ad altissimo livello.
Sono il suo assistente, preparo le orchestre, i cantanti, siedo talvolta al cembalo e questo mi rende molto felice! Data la poliedricità di Montanari affrontiamo un repertorio piuttosto ampio ed il tutto è sempre davvero illuminante.
Tra l’altro è da poco uscito il cd della serenata Enea in Caonia di Hasse, cui ho partecipato nei due ruoli di assistente e di cembalista, con una nuova compagine, Enea Baroque Orchestra, fondata a Roma da Francesca Ascioti, amica e grande artista; la registrazione si è giovata di un cast di prim’ordine che comprende Carmela Remigio, Paola Molinari, Raffaella Lupinacci, Celso Albelo e la stessa Francesca Ascioti.

E per quanto riguarda l’insegnamento? Hai desiderato ad un certo punto offrire qualcosa del tuo ampio bagaglio ai più giovani?
Ho iniziato insegnando all’istituto Europeo di Firenze, insieme a Elisabetta Sepe (che era nella mia classe di lettura ai tempi dei… corali di Bach!), Susanna Rigacci e Monica Benvenuti. Il direttore artistico era all’epoca Rodolfo Tommasi: con lui e con la moglie Edy Frollano (purtroppo entrambi prematuramente scomparsi) abbiamo realizzato col pianoforte piccoli allestimenti operistici, che vedevano protagonisti i giovani studenti stranieri.
Negli ultimi anni poi ho lavorato come maestro al cembalo per la classe di canto barocco del Conservatorio di Frosinone, tenuta prima da Gemma Bertagnolli e poi da Furio Zanasi.

E come sei arrivato a Fiesole?
Conoscevo la Scuola dai tempi del Conservatorio (e delle famose partite di calcio che sistematicamente perdevamo contro i fiesolani), anche per aver accompagnato qualche volta il maestro Luciani nelle lezioni che teneva qui. Suonando per una stagione dei Nuovi Eventi Musicali incontrai Matteo Fossi ed Edoardo Rosadini, i quali mi incoraggiarono a scrivere al Direttore artistico Andrea Lucchesini per proporre la mia collaborazione. Ebbi un appuntamento e, una volta illustrata l’attività svolta fino a quel momento, fui accolto a Scuola per collaborare con le classi di canto, prima, e poi mi fu affidato il corso di organo, che ho tenuto fino a quest’anno.
Preso atto che non mi è più possibile garantire una presenza settimanale a causa degli impegni in teatro, ho lasciato l’insegnamento dell’organo (attualmente affidato a Daniele Dori) mantenendo quello di Pratica dell’accompagnamento pianistico, attraverso cui vorrei provare a contribuire alla formazione dei maestri collaboratori di domani.

Come organizzi questo corso?
Lo frequentano gli allievi pianisti del triennio, che devono sostenere un esame specifico. L’idea è quella di affiancare l’abituale attività di accompagnamento nelle classi di strumento ad un’introduzione al lavoro che si svolge in teatro.
Quest’anno siamo stati costretti alle lezioni online, quindi l’esperimento è stato ancor più difficile: ho indicato il titolo Nozze di Figaro e affidato a ciascuno la realizzazione di un recitativo e l’esecuzione dalla partitura (!) di un numero (aria, brani di insieme) sotto la mia direzione, un’esperienza che non avevano mai fatto. Devo dire che i ragazzi sono stati fantastici, considerando il poco tempo che hanno avuto a disposizione per far lezione in presenza. Prossimamente il corso sarà ancor più strutturato, in modo da differenziare il repertorio, aumentando la complessità delle attività da un anno all’altro… sono certo che li vedremo fiorire!

Hai intercettato anche gli allievi di composizione e di chitarra, in questi anni
I compositori dovevano frequentare due annualità di pratica organistica, e così ne ho approfittato per spingerli, nel secondo anno, non solo a scrivere, ma anche a suonare le loro composizioni. Credo infatti che sia importante non perdere mai il rapporto diretto con uno strumento: la musica è fatta di fisicità, di accordi, di impasti sonori in cui bisogna metter le mani.
Anche con i chitarristi l’esperimento è stato molto interessante: abbiamo iniziato anche con loro parlando di retorica, articolazione, pronuncia, affetti e poi abbiamo avvicinato i Fiori Musicali di Frescobaldi. I ragazzi sono stati molto reattivi anche sul tema dell’improvvisazione, che abbiamo provato ad affrontare partendo dalla sequenza al basso do, re, mi.
In ogni caso per tutti è importante praticare l’improvvisazione, che è un vitale aspetto della formazione, piuttosto che un talento di pochi iniziati.

Pensi che sia giusto iniziare coi bambini?
Non ho una particolare esperienza con i bimbi, ma sono certo che la loro fantasia potrebbe essere stimolata con piccoli esperimenti, partendo ad esempio dai semplici bassi dei pezzi del Quaderno di Anna Magdalena ed esortando i bambini a variare la linea superiore.
In ogni caso, focalizzando l’attenzione sui moti del basso si assorbono i modelli, gli schemi, e grazie a questo la lettura si velocizza moltissimo: gli accordi non saranno più singole entità verticali, ma diverranno parte di un moto orizzontale, di un cammino naturale nel fluire della musica.
Del resto la partitura è, per me, solo un basso continuo scritto, e seguendolo si legge e si prevede ciò che già immagini: così è per Beethoven, Schubert, Rossini, che si basano su modelli, combinati in quel certo modo che rende le loro opere capolavori, geniali e immortali. Mozart stesso non avrebbe potuto scrivere così velocemente l’Ouverture di Nozze, ad esempio, se non avesse avuto una straordinaria dimestichezza con questo zibaldone di modelli.
Un esempio che faccio sempre è l’inizio della Sonata op. 109 di Beethoven, che è un basso di romanesca, uno schema noto da molto tempo: da un elemento così semplice, se sei Beethoven costruisci una cattedrale!

Alla luce della tua ampia esperienza, prima come allievo ed oggi come poliedrico musicista e insegnante, come immagini la Scuola di domani?
Credo che la cosa fondamentale sia il lavoro di squadra, perché ognuno degli insegnanti apporta la sua esperienza, ma la completezza formativa è un risultato che si ottiene tutti insieme.
Ritengo importante che siano messi in stretto collegamento i vari settori della Scuola, ad esempio favorendo un contatto costante tra le competenze di tutti i docenti ed il Dipartimento di musica antica, anch’esso ricco di insegnanti di grande capacità.
In questo momento, in cui l’oggettiva situazione di difficoltà ci porta maggiormente a riflettere, possiamo forse spingerci a rinforzare il contatto tra noi sui temi della didattica, unendo le forze: dobbiamo dare ai nostri allievi una formazione agile, che unisca i vari ambiti con ordine e disciplina, senza trascurare nessun aspetto. Perché se è vero che in teatro bisogna saper improvvisare, non dobbiamo dimenticare che saper suonare bene è fondamentale.
Sono convinto che tutto debba concorrere ad offrire una preparazione completa e approfondita, che permetta ai musicisti di domani di arrampicarsi agilmente sulle ampie ramificazioni dell’albero della musica.

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