Intervista a Fanny Ravier

Sorridente e diafana, Fanny Ravier arriva all’appuntamento per l’intervista un po’ di corsa, avvertendo che, tra prove e lezioni, non ha avuto tempo di “prepararsi”. La rassicuriamo, spiegandole che l’idea è semplicemente quella di aggiungere il suo ai ritratti dei docenti fiesolani, raccogliendo la testimonianza di una giovane insegnante arrivata recentemente alla Scuola; una volta rotto il ghiaccio, la nostra chiacchierata diventa confidenziale ed animata.
Come sei arrivata alla musica?
Molto presto, per gioco. Nessuno della mia famiglia aveva competenze specifiche, ma già a quattro anni avevo iniziato un percorso di propedeutica, e chiesi di poter iniziare a suonare uno strumento. I miei genitori pensarono che il violino potesse essere lo strumento adatto per una bambina piccola, e che mi avrebbe permesso di fare attività di gruppo, cosa alla quale tenevano molto.
Iniziai così a frequentare una scuola di musica a Chambéry, la mia città: si chiamava Les Vivaldistes de Savoie e vi si insegnava la musica in modo estremamente ludico e divertente: nessuna nozione teorica, e un approccio molto disinvolto allo strumento. Ma mi piaceva molto, e studiavo più di quanto venisse richiesto. Così dopo pochi anni passai al Conservatorio, dove dovetti colmare le lacune dell’approccio iniziale allo strumento e alla teoria della musica.
Arrivata al terzo ciclo (corrispondente più o meno al corso superiore italiano), entrai nella classe di Philippe Tournier, un insegnante e musicista completo: spalla dell’Orchestra della Savoia, camerista in trio e insegnante davvero competente. Insomma, un faro durante gli anni un po’ delicati dell’adolescenza.